In asta la collezione Gavagnin di Villa Correr Pisani

Una raccolta unica e affascinante di vetri di Murano, ceramiche e altri oggetti di pregio di Gio Ponti, Fulvio Bianconi, Ercole Barovier, Tobia Scarpa, Ettore Sottsass Jr e molti altri

Villa Correr Pisani è una magnifica dimora veneta risalente al XVI secolo che ha ospitato per molti anni la Collezione del dott. Dionisio Gavagnin, custodendo tesori artistici di inestimabile bellezza e significato. La villa è situata nella regione pianeggiante tra i comuni di Roncade e Quarto d’Altino (TV), a pochi chilometri da Venezia, patria del vetro italiano. Non distante, inoltre, si trova uno dei capolavori di Carlo Scarpa, il Memoriale Brion, complesso funebre monumentale situato ad Altivole, in cui è sepolto, tra l’altro, lo stesso Scarpa. Il Memoriale è dedicato a Giuseppe Brion, l’industriale del piccolo paese trevigiano notissimo per il marchio Brionvega.

Villa Correr Pisani

Notizie storiche

La costruzione di ville nobiliari lungo le sponde del canale Musestre, fin dai primi del ‘500, rappresentò un fattore dinamico di trasformazione del territorio e di mutamento sociale oltre che paesaggistico-architettonico in senso stretto: l’insediamento diretto dei proprietari terrieri apportò nuovi metodi di conduzione agraria e dunque nuove risorse economiche e d’impiego per la popolazione di Roncade.

Villa Correr Pisani si presenta oggi ancora integra ed è uno fra gli esempi più interessanti dell’architettura del primo Cinquecento trevigiano, come citato dal Azzoni Avogadro.

Gli interni di Villa Correr Pisani

La costruzione si presenta a pianta quadrata e con facciata asimmetrica, sull’esempio dei palazzi veneziani. La villa appare documentata ed in modo indiretto solo nel 1570, in occasione della visita pastorale del 1610 la cui relazione informa che a Santa Fosca esistevano due ville Correr entrambe con oratorio privato. Anche nella visita del 1648 si riporta la notizia dell’esistenza di due oratori appartenenti ai Correr. La proprietà dei Correr viene confermata fino al 1726 poi dal 1754 erano proprietari i Pisani, fino al 1800 quando i proprietari diventarono i fratelli Gio Batta e Pietro Silvestrin.

Dionisio Gavagnin, un manager appassionato d’arte

Dionisio Gavagnin nasce a Venezia nel 1950. Laureatosi in Economia e Commercio presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia nel novembre del 1973, qualche mese dopo viene assunto dalla Olivetti di Ivrea dove inizia una brillante carriera professionale nel settore dell’Internal Auditing, viaggiando per missioni di lavoro in molti paesi europei ed extra-europei dove la Olivetti aveva proprie consociate.

Lotto 88, Ettore Sottsass Jr, Carlton, 1981
stima € 12.000 – 15.000

Il clima e le iniziative culturali della Olivetti di quegli anni (Soavi, Sottsass, Bellini, etc.) è per Gavagnin una occasione unica per approfondire i propri pre-esistenti interessi per le arti figurative e per il design. Incomincia allora a collezionare le prime opere d’arte e oggetti di design; passione per un “collezionismo mirato” che da allora in avanti proseguirà per oltre 40 anni. La carriera professionale di Gavagnin si svolge in ambito aziendale fino al 1986 con prestigiosi incarichi manageriali in alcune grandi aziende, fino al ruolo di amministratore delegato in una importante azienda multinazionale del settore ceramico di Sassuolo (MO).

Lotto 65, Fulvio Bianconi, Vaso, 1950 ca.
stima € 40.000 – 50.000

Dal 1986 e fino al 2017 Gavagnin proseguirà la propria attività lavorativa come imprenditore e libero professionista (Dottore Commercialista) nella consulenza manageriale, occupandosi soprattutto di ristrutturazioni aziendali, di pianificazione e controllo e di formazione (professore a contratto in Controllo di gestione presso l’Università degli Studi di Ancona). Rara figura di tempra illuministica, Gavagnin ha saputo far coesistere in tutti questi anni rigore e successo professionale con la passione per la storia dell’arte e per la poesia.

Heinz Oestergaard, lotti 83-85-86

Studioso di arte moderna e contemporanea e famelico lettore, Gavagnin ha pubblicato due libri sulla storia della fotografia: Homini & Domini. Il corpo nell’arte fotografica, 2011; Fini & Confini. Il territorio nell’arte fotografica, 2018; e tre raccolte poetiche: Colori della poesia, 2006; Antri son-ori, 2010; S-trame d(‘)a-nimo, 2013, tutti con l’Editore Campanotto di Udine. Negli ultimi anni ha progettato e curato per Musei e Fondazioni numerose mostre d’arte e di fotografia, tra cui: Paesaggi anomali (Treviso Ricerca Arte, Treviso, 2016); Fini & Confini. Dal Paesaggio al territorio (Museo del Paesaggio di Torre di Mosto, VE, 2019); Le donne e la Fotografia (Fondazione Luciana Matalon, Milano, 2021). La collezioni di Gavagnin, raccolte nella prestigiosa Villa Correr Pisani di Roncade, comprendono oggetti ed arredi di design, opere di arte moderna e contemporanea e di fotografia.

Carlo Scarpa, lotti vari

L’asta del 13 luglio, dedicata alla Collezione Gavagnin, presenterà un’importante selezione di vetri di Murano, ceramiche e altri oggetti di pregio di Gio Ponti, Fulvio Bianconi, Ercole Barovier, Tobia Scarpa, Ettore Sottsass Jr e molti altri. Un’occasione unica per gli appassionati d’arte di arricchire le proprie collezioni con pezzi di grande valore e raffinatezza.

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Gregory Crewdson: immagini in bilico tra giallo e thriller

Per colpire i potenziali lettori gli editori sono da sempre impegnati nella ricerca della copertina perfetta, e il binomio tra il fotografo americano e Joël Dicker sembra essere un best-seller in Italia

Il mondo dell’editoria in Italia è vivo. Il mondo dell’editoria in Italia è morto. Periodicamente queste due grida si alternano su quotidiani e tg del nostro Belpaese. Ciò che è certo è che basta entrare in una qualsiasi libreria e, a dispetto dei (presunti) pochi lettori in Italia, si continua a stampare e a pubblicare libri a ritmo serrato in un settore in cui la concorrenza è di conseguenza sempre più alta. 

Per colpire il potenziale lettore, gli editori e soprattutto i grafici sono impegnati nella ricerca della copertina giusta, dell’immagine perfetta quel connubio tra titolo e immagine che contribuisce a rendere un titolo un best-seller.

Sicuramente una delle accoppiate vincenti degli ultimi anni è stata quella, individuata dalla Bompiani, tra le fotografie dell’americano Gregory Crewdson e i romanzi dello svizzero Joël Dicker.

Le immagini di Crewdson, dal taglio cinematografico, catturano figure bloccate in una fermezza  innaturale, eccessiva, perennemente in attesa di un evento che le sblocchi permettendo loro di tornare a muoversi e di uscire da situazioni che sembrano alquanto paradossali. Donne e uomini circondati da sfere colorate o da fiori, immersi in salotti colmi d’acqua o semplicemente circonfusi di fasci di luce alieni, sono le perfette rappresentazioni delle narrazioni in bilico tra giallo e thriller di Dicker.

I personaggi dello scrittore sono descritti con una scrittura ricca e dettagliata, immersi in situazioni al limite in cui la rappresentazione psicologica e i dialoghi giocano un ruolo importantissimo per lo sviluppo delle narrazioni in cui il lettore , spesso, è invitato a cogliere anche il non detto.

GREGORY CREWDSON, Production Still, 2003 – Venduto per 5000€

Proprio come nelle immagini di Crewdson in cui quello che non compare nell’inquadratura ha la stessa importanza, se non di più, di quello che vi si vede. Per esempio ne Il caso di Alaska Sanders tutto sembra prendere avvio da un caso di omicidio velocemente risolto, ma è solo apparenza e la situazione si dimostra molto più complessa e articolata come lo scatto Production Still di Gregory Crewdson, del 2003, scelto per la copertina dell’edizione italiana. Una stazione di servizio, illuminatissima, una bicicletta abbandonata malamente ad un ingresso, due persone che si fronteggiano, un universo, una storia, un’immagine/romanzo. Crewdson/Dicker un binomio da best-seller in Italia

GREGORY CREWDSON, Production Still, 2003 – In asta il prossimo 16 marzo

L’asta del 16 marzo propone 250 scatti dei grandi nomi della fotografia del XX secolo: un catalogo eccezionale che raccoglie tra le altre anche opere di Luigi Ghirri, Franco Fontana, Gabriele Basilico, Irving Penn, Robert Frank (oltre a Gregory Crewdson ovviamente).

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Donne Fotografe: 5 scatti al femminile selezionati dal catalogo della prossima asta

Cinque donne che hanno contribuito all'evoluzione della storia della fotografia internazionale dagli anni Sessanta a oggi: da Lisetta Carmi a Shirin Neshat

Dopo essersi confermato leader in Italia nel 2022, il Dipartimento di Fotografia di Finarte presenta la prima vendita dell’anno, dedicata ai grandi nomi nazionali e internazionali.

Tra i lotti proposti, oltre 250, spiccano alcuni importanti nomi femminili che hanno contribuito con le loro opere all’evoluzione della fotografia dalla metà del XX secolo a oggi.

Karen Knorr

Lotto 25 / Karen Knorr, The Winds of Change, dalla serie “Metamorphoses”, 2014

Tedesca di nascita ma formatasi fra Londra e Parigi, la giovane fotografa Karen Knorr si è affermata per la sua capacità di coniugare realtà e fantasia, di ironizzare sulla seriosità delle tradizioni e alludere all’incanto che suscita la natura. Nell sua ricerca “Metamorphoses” l’apparizione improvvisa di animali all’interno di eleganti e spesso sfarzosi interni architettonici mette a confronto natura e cultura ma, a ben guardare, anche realtà e sogno, classicità e provocazione, fotografia analogica e tecnologia digitale.

Loretta Lux

Lotto 105 / Loretta Lux, Troll 1, 2000

Loretta Lux è celebre per le sue fotografie in cui ritrae bambini che appaiono imperscrutabili, in bilico tra consapevolezza e innocenza: spesso figli di amici e di età compresa tra i due e i nove anni, la Lux altera poi le immagini utilizzando Photoshop, per conferire loro un’apparenza quasi ultraterrena e ambientando il ritratto in atmosfere fiabesche.

Shirin Neshat

Lotto 149 / Shirin Neshat, “Rapture” series, 1999

Shirin Neshat utilizza la fotografia e il video per approfondire i temi del femminismo, della religione, dell’identità, dell’esilio e della storia culturale del suo paese d’origine, l’Iran. “Rapture” è un’indagine allegorica sugli effetti della legge islamica sulle politiche di genere: Neshat affronta gli stereotipi collocando gli uomini in una fortezza architettonica e strutturata e le donne in un deserto naturale e selvaggio, lasciando lo spettatore posizionato tra queste dicotomie.

 

Sabine Weiss

Lotto 170 / Sabine Weiss, Senza titolo, anni 1990

Sabine Weiss, la ragazza che si comprò la sua prima fotocamera con i soldi della paghetta e che dalla Svizzera giunse a Parigi per rimanerci, divenne in seguito una delle più eminenti rappresentanti della Photographie Humaniste grazie anche al suo personale stile lineare, pulito e antiretorico.

 

Lisetta Carmi

Lotto 217 / Lisetta Carmi, Dalla serie “I travestiti”, 1965/1971

Giovane donna della buona borghesia ebraica, Lisetta Carmi, impegnata nello studio del pianoforte, scappò da Genova a causa delle persecuzioni razziali. Si esibì poi in tutto il mondo e quando tornò in Italia scoprì la fotografia come strumento di conoscenza e di approfondimento sociale: celebri sono le sue serie dedicate a quella che oggi definiremmo la “scena LGBTQ” della sua città natale.

L’asta del 16 marzo propone 250 scatti dei grandi nomi della fotografia del XX secolo: un catalogo eccezionale che raccoglie opere anche di Luigi Ghirri, Franco Fontana, Gabriele Basilico, Gregory Crewdson, Irving Penn, Robert Frank e molti altri.

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Simbologia, significati e rappresentazioni: l’arte del Sud Est Asiatico

Una raffinata selezione di sculture e oggetti cerimoniali andranno in asta il prossimo 8 marzo a Milano

Carica di simbologia, significati reconditi e innumerevoli rappresentazioni, l’arte del Sud Est Asiatico ha sempre trovato consenso nel gusto dei grandi connoisseur europei. 

Grazie ad un’affascinante dicotomia che, in particolare nell’arte votiva, ha visto mescolarsi i canoni induisti con quelli buddisti, si è arrivati ad una raffinatissima produzione di sculture e oggetti cerimoniali, che possiedono una forza intrinseca sia spirituale che decorativa.

Grande scultura in bronzo dorato raffigurante Vishnu-Rama. Thailandia, secolo XX
Lotto 6 / Grande scultura in bronzo dorato raffigurante Vishnu-Rama. Thailandia, secolo XX

Vishnu è considerato il protettore dell’universo nell’induismo: compie la sua missione assumendo varie incarnazioni o avatar, come Rama e Krishna, per ristabilire l’equilibrio e sconfiggere il male. Viene raffigurato con quattro braccia, tutte disposte al di sopra dei fianchi, la mano anteriore destra è alzata nel saluto regale, mentre nelle altre reca, come attributi, la mazza, la ruota e la conchiglia.

Lotto 22 / Grande Buddha in bronzo. Laos, inizio secolo XX – Lotto 74 / Testa di Buddha. Birmania, secolo XIX

Nelle prime sculture, Buddha non era rappresentato in forma umana ma attraverso simboli. Solo attorno al I secolo d.C., in India cominciarono a emergere immagini di Buddha con caratteristiche umane, fortemente influenzate dalle statue romane, conoscenze rese possibili dalle rotte commerciali che collegavano l’Oriente con l’Occidente.

Queste sculture si concentrarono su un’immagine ideale del Buddha, combinando tratti semplici, come i piccoli ricci dei capelli con forme più lussuose, come i drappeggi ispirati dalla scultura gandhariana

In tutte le regioni del sud est asiatico, le sculture del Buddha venivano utilizzate per ricordare episodi specifici dei suoi viaggi e insegnamenti. Come le sculture gandhiane e indiane, quelle del Laos e della Thailandia includono spesso un usnisa (protuberanza nella parte superiore del cranio), con un’espressione serena del viso. Sono comuni anche i lobi delle orecchie allungati, che richiamano l’attenzione sulla rinuncia del Buddha a una vita principesca e ai beni materiali.

Immagine: lotto 22, Grande Buddha in bronzo. Laos, inizio secolo XX / lotto 74, Testa di Buddha. Birmania, secolo XIX

Lotto 73 / Scatola “Hsun-ok” porta offerte. Birmania, secolo XIX

Gli hsun-ok sono dei contenitori tradizionali che venivano impiegati per le offerte al Buddha e alla comunità dei monaci: venivano collocati su un altare, ai lati dell’immagine del Buddha e in essi venivano depositati doni di fiori, frutta e incenso. Questi contenitori erano frequentemente realizzati in legno di bambù e lacca: la laccatura rappresentò infatti un’importante attività artigianale in Birmania per molti secoli. 

La lacca birmana è conosciuta per le superfici incise e per l’aggiunta di intarsi in vetro colorato (soprattutto vermiglio) e foglia d’oro. Un esemplare molto simile a questo offerto in asta è parte della collezione del British Museum.

L’asta dell’8 marzo propone sculture, bronzi, vasi e preziosi oggetti tradizionali della cultura orientale in un catalogo che raccoglie oltre 80 lotti per collezionisti e appassionati di Arte Asiatica.

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100% Make-up, 100 vasi per cento autori: il progetto di Alessandro Mendini per Alessi

Nel 1992, Alessandro Mendini collaborò con Alessi per il progetto 100% Make-up: cento vasi in porcellana, ciascuno decorato da uno dei cento artisti che presero parte all'iniziativa, riprodotti in un massimo di cento esemplari per una tiratura totale di 10.000 vasi. La collezione completa verrà offerta in asta l'11 giugno e sarà possibile fare offerte sia sulla serie dei 100 vasi (lotto 0), oppure sui singoli lotti dei diversi autori (lotti 1-100)

Un’opera corale, testimonianza, grazie alle 100 decorazioni proposte da 100 angoli del mondo, delle diversità non solo del singolo individuo ma anche delle culture che rappresentano.

100% Make-up sarebbe il nome perfetto per un tutorial online di trucco, in realtà è il nome partorito, nel 1992, dalla vulcanica mente di Alessandro Mendini per la sua collaborazione con Alessi dedicata a una sezione particolare chiamata “Tendentse”. Un progetto che per le sue complessità organizzative e tecniche ha richiesto un impegno di più di tre anni e che rispecchia completamente le modalità progettuali di Alessandro Mendini: non solo un designer ma un artista totale, si direbbe “rinascimentale”.

Alessandro Mendini, 100% Make-up, The New Romantic Style. Alessi, 1992. Vasi (da sinistra a destra): n.32 Micheal Graves, n.30 Anna Gili, n.15 Nigel Coates, n. 43 Mark Kostabi

In ogni progetto del designer milanese si percepisce il divertimento e il piacere che ne hanno portato alla creazione. In particolare in 100% Make-up si comprende totalmente il suo desiderio di lavorare assieme ad altri, noti o ignoti, coordinando gruppi. Un’attività quasi più da curatore che da progettista: cos’è infatti questa operazione se non una mostra collettiva in cui le tradizionali pareti di uno spazio espositivo sono sostituite dalle forme di un vaso bianco? 100 autori tra architetti, designer, grafici, artisti e autori appartenenti a culture alternative invitati a creare il proprio “racconto visivo” per decorare ciascuno, grazie a delle decalcomanie, 100 copie del vaso disegnato da Alessandro Mendini stesso.

Alessandro Mendini, 100% Make-up, The New Romantic Style. Alessi, 1992. Vaso n. 19 Nicola De Maria

Ma perché un vaso e non una sedia, una caffettiera o una lampada?
Il vaso, come scelta di un oggetto, non è casuale. In esso coesistono le forze della terra, della materia che lo compongono, dell’acqua che aiuta a plasmarlo e del fuoco che ne rende immutabili le forme.
Protagonista sia di leggende e storie, a cominciare dal mito del vaso di Pandora, che della quotidianità dei nostri avi come recipiente per il trasporto di farine, vino, olio o acqua fino a oggetto decorativo vuoto o accompagnato da fiori e piante per la casa moderna. Il vaso accompagna quindi l’essere umano da secoli nel suo percorso lungo le vie del mondo e proprio queste sue caratteristiche di universalità e trasversalità devono essere sembrate perfette a Mendini per questo suo progetto corale di unione di persone, culture e formazioni diverse.

Alessandro Mendini, 100% Make-up, The New Romantic Style. Alessi, 1992. Vasi (da sinistra a destra): n. Guillermo Tejeda, n. 93 Mara Voce, n. 78 Ettore Sottsass Jr.

Chiedendo a ciascuno dei 100 designer, architetti, grafici e artisti, Mendini dà corpo non solo a un’operazione di design ma a una vera e propria ricerca antropologica e sociale. Un’opera corale, testimonianza, grazie alle 100 decorazioni proposte da 100 angoli del mondo, delle diversità non solo del singolo individuo ma anche delle culture che rappresentano.

Alessandro Mendini, 100% Make-up, The New Romantic Style. Alessi, 1992. Vaso n. 9 Alighiero Boetti

Scorrendo la lista dei nomi balzano agli occhi nomi di artisti come Alighiero Boetti, che approccia la decorazione come i suoi multicolori collage ottenuti sovrapponendo le immagini tratte da riviste e settimanali, o Nicola De Maria che ripropone le sue composizioni di triangoli, stelle e quadrati nei toni dei colori primari, giallo, rosso e blu fino a Carla Accardi, che elegantemente include i suoi graffiti in bianco e nero all’interno di un ovale. Il tedesco Andreas Schulze si scosta totalmente, invece, dai soggetti dei suoi dipinti trasformando il vaso in un album di famiglia con tante fotografie di parenti e amici condividendo i suoi ricordi.

Alessandro Mendini, 100% Make-up, The New Romantic Style. Alessi, 1992. Vaso n. 2 Carla Accardi

Se il musicista e compositore Brian Eno sparge archetti dorati e neri sulle superfici bianche come onde sonore, l’israeliano Yael Applefeld rende omaggio al vaso stesso rendendolo anche decorazione nella sua silhouette.
Un vaso può ironicamente essere trasformato in una forma di groviera con tanti topini che sbirciano dai fori, come ha fatto ad esempio l’architetto Massimo Mariani o essere messaggero di riflessioni come accade per opera di Philippe Starck, che disegnando alternativamente croci celtiche, stelle di david e lune crescenti, non può non rimandare alle simbologie che rappresentano.

Alessandro Mendini, 100% Make-up, The New Romantic Style. Alessi, 1992. Vaso n. 80 Philippe Starck “Mèmorie d’avant-guerre”

Tra i continenti più rappresentati l’Africa, dove il vaso tradizionalmente non aveva nessun valore decorativo ma solo funzionale, nella convinzione che avere fiori in casa potesse ad esempio attirare i serpenti. Questo non ha impedito a maestri come il congolese Cheri Samba di renderlo unico con i suoi personaggi in una narrazione vicina al fumetto, o al conterraneo Bodys Isek Kingelez di immaginarvi i suoi edifici utopici multicolori, fino all’ivoriano Frédéric Bruly Bouabré che ne usa la superficie per inquadrarvi i suoi disegni naif.

Alessandro Mendini, 100% Make-up, The New Romantic Style. Alessi, 1992. Vasi (da sinistra a destra): n.21 Emmanuel Ekefrey, n. 52 Esther Mahlangu, n. 73 Cheri Samba, n. 87 Twins Seven Seven, n. 53 Valente Malangatana

Questi sono solo alcuni dei 100 autori i cui nomi compaiono riuniti alla base di ogni vaso con il numero di tiratura. Democraticamente, infatti, le prime 100 copie di ognuno di essi furono proposte allo stesso prezzo indipendentemente dalla fama e carriera di ciascuno degli autori. Altrettanto democraticamente la richiesta del pubblico avrebbe determinato il successo di un modello o di un altro e la relativa messa in produzione in tiratura illimitata e a prezzo differenziato.

Alessandro Mendini, 100% Make-up, The New Romantic Style. Alessi, 1992. Vaso n. 89 Hilde Vemren “Odi et amo”

100% Make-up, 100 autori, 100 decorazioni, 100 vasi, un’unica grande mente dietro a tutto, quella di Alessandro Mendini che amava affermare: “Per me le superfici degli oggetti e delle architetture sono come dei dipinti” e noi come dipinti contempliamo le sue creazioni.

Filippo La Mantia “completa” la ricca asta di Vini e Distillati

La già ricca asta 25 e 26 marzo aggiunge una sezione dedicata alla Sicilia, in collaborazione con lo chef Filippo La Mantia

Donnafugata Ben Ryè

Derby delle eccellenze tra Italia e Francia in occasione della prossima asta di Vini e Distillati, che si terrà nella sede di Milano il 25 e il 26 marzo prossimi.

Un pareggio 3-3 sui top lot: per la Francia troviamo una straordinaria Jeroboam 5 Litri 1999, proprietario unico certificato e sempre conservata in cantina a temperatura controllata; un La Tache 2001 di Romanée Conti conservato con l’attenzione che merita; la Salon Le Mesnil Collection con i millesimi 2004, 2006, 2007 e il 2008 Magnum;

Lotto 1169, CHÂTEAU LAFITE ROTHSCHILD 5 LITRI, 1999 1 Jéroboam (5 litri) / OWC. Base d’asta € 6.500

l’Italia risponde con una 3 Litri di Giacomo Conterno Monfortino 2010, una straordinaria verticale di 16 annate di Sassicaia 2002-2017, e pareggia con la rara Collezione Ornellaia 2012-2015 nella sontuosa confezione originale.

 

Lotto 2028, GIACOMO CONTERNO MONFORTINO RISERVA 3 LITRI
2010 1 DMg / OWC. Base d’asta € 6.000

Cosa si può aggiungere a una proposta che presenta i più grandi vini del mondo da Francia, Italia, USA e Nuovo Mondo?

Grazie alla collaborazione con Filippo La Mantia, Finarte presenta una sezione dell’asta dedicata alla Sicilia, un territorio di tradizione antichissima che da alcuni anni vive un momento di grande splendore. In un numero limitato di lotti esclusivi verrà presentata una significativa antologia della produzione dell’isola: i grandi Marsala di Marco de Bartoli, gli straordinari vini dell’Etna, con gli interpreti più prestigiosi come Tenuta delle Terre Nere e Franchetti, il Donnafugata Ben Ryé, probabilmente il più grande passito d’Italia, che porta il nome di Pantelleria in tutto il mondo, i grandi Nero d’Avola di Gulfi e Duca di Montalbo e gli straordinari rossi di Palari, Messina.

I lotti della sezione La Mantia verranno battuti giovedì 25 marzo, al termine della sezione dell’asta dedicata ai lotti da collezioni private, come ideale ponte verso il 26 marzo, dove invece saranno protagonisti preziosi vini da grandi mercanti internazionali.

 

Catalogo online

Cognac e Armagnac, due nettari della Francia amatissimi dagli intenditori (e non solo)

Potremmo ironicamente definirli "i cugini di Francia": entrambi sono dei brandy e devono il proprio nome alle regioni di origine delle uve utilizzate per la loro produzione, Francia Settentrionale per il Cognac e la Guascogna per l’Armagnac. Scopriamone le caratteristiche con alcuni lotti dell'asta di Vini e Distillati del 25 e 26 marzo.

 

Se il cognac viene definito dagli estimatori come il distillato di seta, l’armagnac è il velluto.

I distillati alcolici possono essere considerati tutti come i membri di una grande famiglia. Logicamente tra loro vi sono dei gradi di parentela più stretti e tra questi vi è sicuramente quello tra il cognac e l’armagnac che potremmo ironicamente ribattezzare i cugini di Francia.  Entrambi sono dei brandy e devono il proprio nome alle regioni di origine delle uve utilizzate per la loro produzione, rispettivamente la Francia Settentrionale per il cognac e la Guascogna, nel sud ovest della nazione transalpina, per l’armagnac.

Oltre alla nazione, altro punto in comune l’uva utilizzata, principalmente l’Ugni Blanc, molto simile all’italiano Trebbiano,  accompagnata a volte da vitigni Colombard o Folle Blanche. Tutti vitigni bianchi vendemmiati prima della completa maturazione con cui vengono ottenuti vini leggeri e poco profumati, dalla bassa gradazione e dalla spiccata acidità; caratteristiche che contribuiscono a realizzare ottimi cognac ed armagnac.

Lotto 2338, Jean Grosperrin Cognac Collection: Bons Bois 1944, Bons Bois 50 ans, Des Borderies 1961, Fins Bois 1968, Fins Bois 1972, Fins Bois Origine Rateau, Grande Champagne 1971, Petite Champagne 1962, Petite Champagne 1958. Base d’asta € 2.400

Il cognac è un’acquavite di vino dal sapore delicato e raffinato con definiti sentori floreali e una gradazione alcolica di circa 40°. La sua produzione è stata regolamentata con un trattato nel lontano 1909, lo stesso con cui si decise che solo le acquaviti provenienti dalla regione di Cognac potessero fregiarsi di questo nome, tutti gli altri prodotti simili  infatti hanno la denominazione più comune di brandy.

Le zone di produzione/crus riconosciute nella regione sono sei:

  • Grand Champagne, che dà vita ai cognac più pregiati
  • Petite Champagne e La Borderies, con i distillati dall’aroma maggiormente floreale
  • Fin Bois, area degli aromi più fruttati
  • Bon Bois e Bois Ordinaries, che potremmo definire i “basici”

Le uve vengono raccolte entro il 29 settembre in coincidenza con la festa di San Michele, mentre la distillazione di tipologia “discontinua” si serve di alambicchi detti “marentais” e viene eseguita necessariamente entro il 31 marzo dell’anno successivo alla vendemmia.

Lotto 2342, Selezione Jean Grosperrin Cognac: Des Borderies 1961, Petite Champagne 1962, Grande Champagne 1971, Fins Bois 1972. Base d’asta € 750

Il mosto durante il processo subisce una prima bollitura di circa otto ore, a cui segue una fase di raffreddamento e una seconda bollitura di circa dodici ore, in cui vengono scartate sia la testa che la coda del prodotto per mantenerne solo il cuore. Il distillato ottenuto sarà poi quello che andrà a invecchiare per un minimo di 30 mesi fino a un massimo di 30 anni in capienti botti di rovere.

Il cognac che giunge ai nostri palati non è però spillato direttamente da queste botti. La fase più importante è infatti quella in cui il maitre de chai miscela e diluisce tra loro varie vigne e annate sia per ottenere un bouquet armonico sia per abbassare la gradazione alcolica che all’uscita degli alambicchi era compresa tra i 63° e i 72°, ben più dei 40° della commercializzazione.

Lotto 2346, Jean Grosperrin Cognac Bons Bois, 1944. Stima € 450

Proprio l’essere un blend di vitigni e anni diversi determina il fatto che l’etichetta dei cognac, rispetto a quella dei vini, per esempio non riporta l’annata (a esclusione dei millesimati, dei quali viene indicata l’annata di produzione e/o imbottigliamento). Per l’identificazione della qualità della bottiglia vengono usate delle sigle:

  • VS (very special) o *** (trois etoiles): l’acquavite più giovane usata per l’assemblaggio ha almeno due anni di invecchiamento
  • VSOP (very old pale); VO (very old); Réserve: l’acquavite più giovane usata per l’assemblaggio ha almeno quattro anni di invecchiamento
  • Vielle Reserve; Grande Réserve; Vieux; XO (extra old); Napoleon: l’acquavite più giovane usata per l’assemblaggio ha almeno sei anni di invecchiamento

Lotto 1208, Hennessy Fine Champagne Cognac,  anni 70/80. Base d’asta € 100

Il cognac, rispetto ad altre tipologie di distillati, permette anche dei lunghissimi periodi di invecchiamento purché non in botte per evitare che il tannino del legno vada a rovinarne il sapore, per questo è possibile trovare in commercio e apprezzare anche cognac centenari come per esempio il Rouyer Guillet reserve de l’ange 1865 Vintage. Vi sono alcune famiglie che si tramandano di generazione in generazione i segreti per la realizzazione del cognac perfetto. Tra le più famose quella fondata da Jean Grosperrin e quella creata dall’irlandese Jean Hennessy nel 1745 e ora tra i marchi maggiormente distribuiti al mondo.

 

Lotto 2327, Delord Bas Armagnac Reserve, 1893. Base d’asta € 1.800

Se il cognac viene definito dagli estimatori come il distillato di seta, l’armagnac è il velluto. Riconosciuto come il distillato più antico della Francia, le sue doti terapeutiche vengono, infatti, citate per la prima volta in un documento risalente al 1310 ad opera di un abate del monastero di Eauze, nel cuore del territorio di produzione.

Territorio piccolissimo, dato che le zone di provenienza riconosciute sono esattamente la metà di quelle del cugino settentrionale:

  • il Bas Armagnac, un territorio caratterizzato da terreni silici e sabbiosi, l’armagnac della zona ha una maggiore finezza e toni floreali ed è quello più pregiato
  • Tenareze, dove i distillati hanno un vago sentore di violetta e per alcune caratteristiche organolettiche sono destinati a lunghi periodi di invecchiamento
  • l’Haut- Armagnac, da cui provengono i distillati meno pregiati

La vera differenza con il cognac è la tipologia di distillazione utilizzata nella produzione. Se infatti per questo era di tipo discontinuo, per l’armagnac è continuo grazie all’utilizzo di alambicchi a colonna in rame a ripiani. Da qui si desume come il mosto subisca un singolo processo di riscaldamento e “purificazione” prima di andare a riposare per almeno tre anni in grandi botti, in questo caso, di quercia.

Lotto 2326, Darroze La Bataille Bas Armagnac, 1945. Base d’asta € 250

Al termine del processo di distillazione la gradazione alcolica è compresa tra i 52° e i 60°, molto più bassa che nel caso del cognac, permettendogli di mantenere in maniera più definita i sentori delle sostanze aromatiche che lo compongono. Questa sua caratteristica consente la commercializzazione di una tipologia di armagnac che potremmo definire in purezza, con la medesima gradazione alcolica di quando esce dalla botte dopo l’invecchiamento: tra i 45° e i 49°, detta Brut de Fût, una delle più pregiate e ricercate dagli intenditori.

A differenza del cognac, quindi, non sempre l’armagnac è il prodotto di un unico blend e per questo capita di vedere bottiglie che riportano l’annata di produzione oltre alle diciture di classificazione:

  • Trois Etoiles, VS, con invecchiamento in bottiglia di almeno un anno
  • VO, VSOP, Réserve, con invecchiamento di almeno quattro anni
  • Extra, Hors d’age, Napoleon, XO, Vieille Reserve, invecchiate almeno cinque anni

L’armagnac ha continuato a mantenere nei secoli un’artigianalità nella produzione che non ne ha concesso una commercializzazione di tipo industriale. Sono perfetto esempio di questo alcune realtà locali, come quella dei Delord, distilleria fondata nel 1893 da Prosper e le cui tecniche di creazione dell’armagnac sono state tramandate di generazione in generazione rimanendo di fatto immutate o i prodotti a marchio Darroze.

Lotto 2337, Delord Bas Armagnac Reserve Magnum, 1962. Base d’asta € 400

Dopo aver conosciuto le origini e le caratteristiche di cognac e armagnac non ci rimane che concedercene una degustazione: bottiglia a temperatura ambiente con cui riempire per un terzo un calice a tulipano… ora permettiamo a tutte le fragranze di questi distillati di esploderci in bocca.

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Le 13 opere di Palazzo Torlonia in un’asta a tempo

Un unico lotto per i dodici affreschi e le due formelle in gesso riconosciuti di eccezionale interesse storico-artistico e che, proprio per la loro importanza, verranno offerti in asta senza alcuna commissione d'acquisto.

SCUOLA ITALIANA SECOLO XIX (tradizionalmente attribuito ad Alessandro Bombelli) - La Geografia (dettaglio)

I dodici affreschi e le due formelle in gesso, provenienti dal demolito palazzo Torlonia in piazza Venezia a Roma, sono stati riconosciuti di eccezionale interesse ai sensi dell’art. 10, comma 3, lettere d) ed e) D.Lgs. n. 42/2004 e pertanto soggetti ad avvio di procedimento di notifica in blocco da parte della Soprintendenza Speciale Archeologia, Belle Arti e Paesaggio di Roma in una comunicazione alla casa d’aste, datata 22 febbraio 2021.

Le opere, offerte nell’asta Incanti d’arte dello scorso 23 febbraio, sono state ritirate dalla vendita a seguito della notifica ministeriale e vengono ora riofferte in un’asta a tempo, esclusivamente online. Data la straordinaria rilevanza storico-artistica della serie dei beni, non verrà applicata alcuna commissione d’asta all’acquirente. La stima è di 60.000 – 100.000 € e sarà possibile fare offerte online per una settimana, fino a giovedì 11 marzo alle ore 14.

La storia degli affreschi di Palazzo Bolognetti-Torlonia

Facciata di Palazzo Torlonia

Facciata di Palazzo Torlonia

Nel XIX secolo, Palazzo Bolognetti-Torlonia in Piazza Venezia dove oggi sorge il Vittoriano, era considerato uno dei luoghi più vivaci di Roma: acquistato nel 1807 da Giovanni Raimondo Torlonia, nobile e banchiere italiano, divenne in breve uno dei palazzi più amati dal bel mondo romano, nonché scrigno di opere d’arte e decorazioni eseguite dai migliori nomi dell’epoca. Gioiello della corona nella collezione dei principi di origine francese era l’Ercole e Lica di Canova, capolavoro dello scultore oggi custodito presso la Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma.

Nel 1829, Alessandro Torlonia, il terzogenito di Giovanni, ereditò il palazzo e ordinò agli artisti più rinomati dell’epoca di cimentarsi in una tecnica in disuso da tempo, il buon fresco, per la decorazione di tutte le sale e gli ambienti dell’edificio, sotto la guida dell’architetto Giovanni Battista Caretti.

Stendhal, in visita a Roma, celebrò le decorazioni e le feste di Palazzo Torlonia nel suo Promenades dans Rome del 1829: “I balli del Principe Torlonia in Roma sono superiori a quelli che dava Napoleone I. […] I quattro lati del cortile del suo palazzo sono occupati da magnifiche gallerie che comunicano con più saloni vastissimi nei quali si balla. I migliori pittori viventi, come Palagi, Camuccini, Landi, li hanno dipinti. […] Le feste dei Torlonia sono più belle di tutte quelle dei sovrani d’Europa.” 

Agli artisti citati da Stendhal ne vanno aggiunti tanti altri, tra cui Bartolomeo Pinelli, Bertel Thorvaldsen, Francesco Coghetti, Filippo Bigioli… Le decorazioni da loro realizzate per la prestigiosa committenza finirono purtroppo in parte con l’essere distrutte assieme al Palazzo nel 1903 ma alcune di queste vennero invece salvate, come nel caso degli affreschi, che furono acquistati dall’antiquario napoletano Francesco Tancredi ed entrarono poi a far parte della collezione della contessa Amalia Canonica, amica e fidata collaboratrice di Laetitia di Savoia Bonaparte duchessa di Aosta.

Asta a tempo, fino all’11 marzo – ore 14

La rarità dell’insieme delle opere Torlonia ed il suo valore di testimonianza di un’epoca hanno contribuito ad animare l’opinione pubblica e a destare molto interesse per la vendita di Finarte.

Il Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo ha giudicato di eccezionale interesse il gruppo, come riportato nella motivazione del provvedimento di vincolo del 22 febbraio 2021: “L’asta in oggetto […] riporta in luce alcuni esempi significativi [degli affreschi e dei rilievi Torlonia] che, pure nella loro frammentarietà, documentano una fase particolarmente importante della storia delle arti figurative romane del XIX secolo.”  

Nel rispetto delle scelte della Soprintendenza Speciale Archeologia Belle Arti e Paesaggio di Roma, gli attuali proprietari, a cui sono giunte per successione ereditaria le opere della contessa Canonica, hanno deciso, concordemente con la casa d’aste, di offrirle il lotto unico al pubblico incanto.

Partecipa all’asta

Palazzo Bolognetti-Torlonia, lo scrigno di opere d’arte del bel mondo romano

Nell'800, Palazzo Bolognetti-Torlonia divenne uno dei luoghi più vivaci di Roma e furono numerosi i grandi artisti che ne decorarono le sale. Un significativo nucleo di affreschi provenienti dal palazzo andrà in asta il prossimo 23 febbraio in occasione di Incanti d'Arte.

Piazza Venezia, dominata dalla mole del Vittoriano, è senza dubbio uno dei luoghi rappresentativi di Roma. Liberata dall’ombra delle adunate di fronte al balcone di Palazzo Venezia il suo fulcro visivo è tornato l’Altare della Patria e l’antistante crocevia di ben cinque strade e tre rioni. È stata immortalata in innumerevoli pellicole italiane e internazionali, a partire da Vacanze Romane, forte di una prospettiva ariosa e monumentale che ne fa una delle piazze più ampie del centro storico.


 

Eppure, l’aspetto di questa piazza è relativamente recente e dovuto proprio all’erezione del Vittoriano, che con le sue proporzioni maestose richiese un adeguato spazio di rispetto. Così Giuseppe Sacconi, architetto dell’Altare della Patria, predispose un sostanziale ampliamento e rimaneggiamento della piazza preesistente. Un intervento che, come tanti altri realizzati a seguito della trasformazione di Roma in capitale del Regno d’Italia, mutò per sempre l’aspetto dell’area, cancellandone però purtroppo anche parte delle stratificazioni storiche. E proprio quest’anno, il 4 novembre prossimo, ricorrerà il Centenario del Milite Ignoto.

 

Uno scorcio da Piazza Venezia, guardando verso l'Altare della Patria da Nord-Ovest - via Wikipedia

Uno scorcio da Piazza Venezia, guardando verso l’Altare della Patria da Nord-Ovest – via Wikipedia

A fare le spese di questa revisione urbanistica furono diversi palazzi dalla lunga tradizione, come la Casa di Giulio Romano, principe dei discepoli di Raffaello, in via Macel de’ Corvi 88 o come quello dove visse e morì Michelangelo nell’adiacente e ormai scomparsa Piazza Macel de’ Corvi.

Ma la “vittima” forse più clamorosa fu il seicentesco Palazzo Bolognetti-Torlonia: acquistato da Giovanni Raimondo Torlonia nel 1807 era divenuto, proprio sotto la nobile famiglia, uno dei luoghi più vivaci del bel mondo romano nonché scrigno di opere d’arte e decorazioni eseguite dai migliori nomi. Gioiello della corona nella collezione dei principi di origine francese era l’Ercole e Lica di Canova, capolavoro dello scultore oggi custodito presso la Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma. Esposta in una galleria al primo piano progettata dal Canova stesso, che predispose anche le illuminazioni più adatte, la scultura rappresentava un primo, eccezionale assaggio alla collezione.

Facciata di Palazzo Torlonia

Facciata di Palazzo Torlonia

Giovanni Torlonia e il figlio Alessandro che ereditò il palazzo nel 1829 vollero infatti che la loro residenza fosse arredata e decorata con uno sfarzo e un lusso pari solo a quello dispiegato nelle loro invidiate e frequentatissime feste. Stendhal, in visita a Roma, celebrò entrambe nel suo Promenades dans Rome del 1829:

I balli del Principe Torlonia in Roma sono superiori a quelli che dava Napoleone I. […] I quattro lati del cortile del suo palazzo sono occupati da magnifiche gallerie che comunicano con più saloni vastissimi nei quali si balla. I migliori pittori viventi, come Palagi, Camuccini, Landi, li hanno dipinti. […] Le feste dei Torlonia sono più belle di tutte quelle dei sovrani d’Europa.

Agli artisti citati da Stendhal ne vanno aggiunti tanti altri, tra cui Bartolomeo Pinelli, Bertel Thorvaldsen, Francesco Coghetti, Filippo Bigioli… Le decorazioni da loro realizzate per la prestigiosa committenza finirono purtroppo in parte con l’essere distrutte assieme al Palazzo e, qualora salvate appena in tempo dalle demolizioni, disperse.

Interni di Palazzo Torlonia

Interni di Palazzo Torlonia

Appare quindi particolarmente interessante e significativo il nucleo consistente di affreschi staccati provenienti da Palazzo Bolognetti-Torlonia che Finarte offrirà all’interno dell’asta Incanti d’Arte il 23 febbraio. Affreschi opera fra gli altri di Coghetti e Bigioli che nei primi del ‘900 entrarono a far parte della collezione della contessa Amalia Canonica, che fu amica e fidata collaboratrice di Laetitia di Savoia Bonaparte, duchessa di Aosta.

Francesco Coghetti "Mercurio trasporta in cielo Psiche", affresco riportato su tela, senza cornice cm 294,5 x 163

Lotto 12, Francesco COoghetti, Mercurio trasporta Psiche sull’Olimpo. Stima € 5.000 – 8.000

Non a caso nella Capitale all’aristocrazia romana, strettamente legata al papato, si sostituì proprio a inizio XX secolo quella legata al Regno d’Italia e ai Savoia, come testimoniano appunto le vicende di Piazza Venezia. Gli affreschi staccati dalle pareti del Palazzo si affiancano così ad arredi e dipinti acquistati direttamente dalla contessa, come le opere di Paolo Gaidano, pittore che di donna Amalia condivideva le origini piemontesi. Gaidano realizzò per la contessa degli affreschi per il santuario del Sacro Cuore a Bussana, vicino Sanremo, di cui verranno presentati in asta alcuni cartoni.

Lotto 38, Paolo Gaidano, Angelo con la Veronica; Angelo con grappolo d’uva; Angelo con la Croce; e Angelo con spighe. Stima € 500 – 1.000

L’asta di Incanti d’Arte si viene così a configurare, grazie alla collezione Canonica, come testimonianza di questa ideale continuità di gusto e amore del bello, di vicende private e Storia, tradizione sabauda e romana.

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Gli smeraldi, pietre uniche che si adattano perfettamente a ogni gioiello

Finarte, grazie ai suoi esperti, certifica la qualità delle pietre e dei gioielli in asta e lo dimostrano gli ottimi risultati raggiunti da alcuni pezzi con smeraldi di altissimo pregio.

Nel 1984, un giovanissimo Michael Douglas impersonava l’avventuriero alla ricerca di una fantomatica pietra verde e, alla fine della pellicola e dopo mille peripezie, oltre all’agognato minerale conquistava il cuore della bella scrittrice di romanzi interpretata da Kathleen Turner. Il film era All’inseguimento della Pietra Verde, primo della fortunata trilogia di Robert Zemeckis. In questo film si evince una cosa: a essere preziosi non sono solo i diamanti. L’elemento scatenante di tutta l’avventura era, infatti, uno smeraldo di dimensioni spropositate.

La pietra verde per antonomasia è conosciuta e apprezzata da secoli. Ad esempio, miniere storiche situate in Egitto permettevano a Cleopatra di adornarsene e di farne dono con la sua immagine scolpita ai suoi più alti dignitari.

Per il buddismo il minerale è la perfetta rappresentazione della saggezza, dotato di particolari poteri rilassanti legati alle sue mille sfumature di verde.

Smeraldi (foto via <a href="https://it.wikipedia.org/wiki/Smeraldo" target="_blank">Wikipedia</a>- Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 Unported)

Smeraldi (foto via Wikipedia– Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 Unported)

Tecnicamente lo smeraldo è una pietra ascrivibile alla famiglia dei berilli, da cui si discosta solamente per la presenza, nella sua composizione, di un’impurità, il cromo, che poi è proprio l’elemento chimico che ne determina la particolare colorazione.

Gli smeraldi sono unici, non ne troverete mai due uguali. Questo a causa dei particolari processi geologici che sono alla base della loro creazione, che forzando la coesistenza di elementi normalmente non compatibili tra loro, determinano la presenza di inclusioni e fratture. Imperfezioni dalle particolari forme che ricordano delle piante e che vengono comunemente definite jardin.

Giardini virtuali che per lo smeraldo sono determinanti per svariati motivi. Innanzitutto, perché la loro maggiore o minore presenza e, di conseguenza, la trasparenza della pietra influiscono sulla sua qualità. Nella formula, più alto e uniforme è il grado di trasparenza, maggiore è il valore.

In secondo luogo, dalla forma di queste “imperfezioni” è possibile risalire alla regione di provenienza. Ad esempio, le pietre più belle e dal colore più puro e brillante sono originarie della Colombia, ma centri di produzione sono situati anche in Brasile, in Pakistan e più recentemente in Africa, nelle regioni dello Zimbabwe e dello Zambia.

Infine, il jardin determina anche il taglio e la lavorazione della pietra. Il taglio classico, infatti, a gradini con forma rettangolare, quadrata o ottagonale, è stato ideato proprio per ridurre al minimo le interferenze delle imperfezioni nella visione della pietra ed esaltarne le peculiarità tonali alla luce.

Spesso, per migliorarne l’aspetto, queste bellissime pietre possono essere sottoposte a trattamenti a base di oli naturali o sintetici per colmare le fratture presenti; interventi che devono essere obbligatoriamente reversibili e non coloranti per non alterare le caratteristiche naturali.

Finarte, grazie ai suoi esperti, è la prima a certificare la qualità degli smeraldi e gioielli proposti in asta.

Lo dimostrano gli ottimi risultati raggiunti nell’asta dell’autunno scorso da alcuni pezzi con degli smeraldi di altissimo pregio. Ad esempio, il lotto 674: orecchini in oro bianco, diamanti e smeraldi colombiani di ct 17,68 e 17,32 venduti per € 49.800; o il lotto successivo, il 675, un anello in oro bianco abbellito da uno smeraldo colombiano di taglio quadrato a gradini di ct 15,23 venduto a € 23.800.

Lo smeraldo è una pietra che si adatta perfettamente a ogni tipologia di gioiello, che sia anello, spilla o collana, come ad esempio quella al lotto 714 in oro, diamanti taglio brillante e tre gocce cabochon di smeraldo venduta a € 15.100.

Questo perché se un diamante è per sempre, leggenda vuole che lo smeraldo sia la pietra dell’amore e che sia sufficiente bisbigliargli il nome della persona desiderata per conquistarla. Provare per credere… o, nel peggior dei casi, consolarsi con un bellissimo gioiello con smeraldo.

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