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Opere dalla Collezione di Bruno Mantura

martedì 23 marzo 2021, ore 15:00 • Roma

108

Pietro D'Achiardi

(Pisa 1879 - Roma 1940)

Il Ratto d'Europa, 1927

Stima

€ 500 - 800

Lotto venduto

€ 1.920

I prezzi di vendita comprendono i diritti d'asta

Informazioni

olio magro su legno
cm 38 x 59,3

Esposizione

Roma, Complesso del Vittoriano, 2010.

Bibliografia

Romaccademia. Un secolo d'arte da Sartorio a Scialoja, catalogo della mostra a cura di T. D'Acchille, A.M. Damigella, G. Simongini,  Roma, Complesso del Vittoriano, 20 ottobre – 21 novembre 2010, p. 250, ripr. p. 77.

L'opera è un bozzetto per la decorazione del nuovo pavimento a mosaico nella sala del Mappamondo a Palazzo Venezia. Ritornato nel 1916 allo stato italiano dopo essere stato proprietà austriaca per oltre un secolo, dal 1924 al 1928 Palazzo Venezia fu oggetto di un esteso restauro in vista della sua destinazione a sede del governo fascista. Nella sala del Mappamondo, uno dei tre monumentali ambienti di rappresentanza dell'edificio papale, i lavori condotti sotto la guida dello storico dell'arte Federico Hermanin, allora direttore del Museo di Palazzo Venezia,  consistettero nella rimozione dei muri divisori eretti nel Settecento, nel ripristino degli affreschi mantegneschi, nonché nella sostituzione del soffitto e del pavimento, per il quale venne dato incarico a Pietro D'Achiardi. Storico dell'arte allievo di Adolfo Venturi, D'Achiardi aveva affiancato sin da subito la sua attività di artista  a quella di studioso. In questa veste si era distinto per la riorganizzazione della Pinacoteca Vaticana (1908-1909), era stato poi ispettore della Galleria Borghese (1909-1913) e, successivamente, docente all'Accademia di Belle Arti di Roma. Parallelamente si era affermato come pittore – nel 1902 aveva esordito alla mostra degli Amatori e Cultori -,acquerellista, incisore e decoratore, mettendosi in luce, in particolare, nella progettazione musiva dei pavimenti, delle cupole e dell'abside della basilica dei Getsemani a Gerusalemme. Fu proprio tale abilità nel campo del mosaico che portò Hermanin a coinvolgerlo nell'impresa della sala del Mappamondo dove l'antichità evocata dalle pareti, in cui gigantesche colonne corinzie su alte basi sostenevano un fregio con sfingi alate, richiedeva un adeguato contrappunto sotto il segno della romanità, anche in vista della destinazione della sala a ufficio di Mussolini.

Il mosaico progettato da D'Achiardi e realizzato nel 1927 consisteva in un pannello centrale con la scena del ratto d'Europa realizzata a tessere colorate e fiancheggiata da iscrizioni celebrative all'interno di tabule ansate e dai simboli dei fasci littori e dell'aquila. Il tutto circondato da un thiasos marino ispirato alla decorazione degli ambienti termali di Ostia antica, con tritoni e nereidi neri su sfondo bianco, a sua volta chiuso da una cornice con motivi geometrici entro cui si inserivano, eseguiti a intarsio, riquadri con teste di medusa e i segni dello zodiaco.

Nel pannello centrale, prendendole distanze dal carattere dinamico dell'iconografia tradizionale, con la figura di Europa portata al galoppo dal toro bianco in fuga attraverso il mare, D'Achiardi propone un'immagine statica e dal maggior valore iconico, con Europa serenamente seduta sull'animale inghirlandato e sdraiato sul prato, affiancata da un'ancella e circondata dai tradizionali amorini (in realtà qui raffigurati senza ali) e da due figure che non sembrano trovare connessione con il mito: la donna che porta il cesto di frutta sul capo, probabile allegoria di abbondanza, e un uomo nudo con i capelli corti e il volto di profilo che cerca di mettere una larga benda intorno al collo taurino. Al di là dell'interpretazione che è stata data di quest'ultimo, per il quale è stata avanzata l'identificazione con Mussolini che cerca di muovere l'Italia (Europa) dalla sua stasi verso più nobili imprese e agguerrite conquiste, espresse dal ritmo d'azione del corteo marino [1], è evidente, nella rappresentazione dell'antico mito, da sempre letto come emblema di colonizzazione culturale, la più generale "metafora dell'egemonia artistica e culturale dell'Italia" [2], ossia, come ebbe a scrivere Federico Hermanin, il simbolo delle "conquiste che ovunque la nostra grande arte ha fatto distendendo il suo volo su tante terree tanti popoli"[3].

Nel bozzetto il linguaggio essenziale e sintetico di D'Achiardi, formato sulle esperienze della Secessione e del ritorno all'ordine, ben si adatta alle esigenze di una rappresentazione bloccata che deve veicolare un messaggio simbolico, pur mantenendo delle morbidezze di linea che andranno a scomparire nella traduzione a mosaico.

 

Sabrina Spinazzè



[1] S. Diebner, Roma, Palazzo Venezia, la sala del Mappamondo e il suo mosaico (1927), in Atti del XXII colloquio dell’Associazione Italiana per lo Studio e la Conservazione del Mosaico, a cura di C. Angelelli, D. Massara, A. Paribene, Tivoli, 2017, pp. 679-688

[2] V. Vidotto, I luoghi del fascismo a Roma, in "Dimensioni e problemi della ricerca storica", 2005 (2006), 2, pp. 39-51, p. 42

[3] F. Hermanin, La sala del Mappamondo nel palazzo di Venezia, in "Dedalo", XI, 1931-1931, pp. 457-481 466-468

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