Delle Aldine, ovvero della Modernità della Stampa

Aldus Page Maker, il primo programma di impaginazione usato sui Mac di Steve Jobs, prendeva il nome da Aldo Manuzio, uno dei primi editori della storia, al quale dobbiamo l'invenzione del formato tascabile e di alcuni dei caratteri più usati in assoluto. Allora cosa sono le "Aldine"? Scopriamolo con alcuni lotti della prossima asta!

Pochi forse sanno cosa sia un’Aldina, ancor meno chi sia Aldo Manuzio. Le Aldine sono convenzionalmente i libri stampati da Aldo Manuzio e dai suoi eredi a Venezia tra il 1495 e il 1597. Cento anni di raffinata produzione editoriale, un catalogo non immenso ma qualitativamente importante.

Pochi conoscono Aldo, ma molti sanno inconsapevolmente cose su di lui. Chi ha introdotto il formato tascabile per i libri di lettura? Aldo. Chi ha utilizzato la moderna punteggiatura, inventando tra l’altro la virgola e il punto e virgola? Aldo. Chi ha creato le prime collane editoriali? Aldo. Chi ha curato i testi in modo filologico, sia che fossero classici greco-latini o moderne opere in volgare? Aldo. Chi ha pubblicato il più bel libro del Rinascimento, ovvero il Polifilo? Aldo.

Aldo Manuzio. Foto: Museo della scrittura Aldo Manuzio. Bassiano

E la lista potrebbe continuare a lungo, perché senza Aldo Manuzio e le sue innovative e geniali intuizioni grafico-editoriali, noi avremmo libri più poveri e brutti. Tutti i caratteri che normalmente adoperiamo, dal Garamond all’Helvetica e soprattutto il più celebre e utilizzato al mondo, il Times New Roman, derivano da caratteri tipografici introdotti da Aldo. Il programma più utilizzato di impaginazione grafica, pensato e sviluppato per i primi Macintosh di Steve Jobs, va sotto il nome di Aldus Page Maker.

Lotto 49, ALDINA – TEOCRITO, Eclogae triginta, in greco. Theogonia, in greco. Altre opere in greco, 1495. Stima € 9.000 – 10.000

Il suo genio si è dispiegato nella Venezia del Rinascimento per appena 20 anni, realizzando un numero tale di moderne innovazioni da poter essere tranquillamente definito come “il principe dei tipografi”.
Aldo aveva diversi sogni nel cassetto, probabilmente li realizzò tutti perché la Venezia dell’epoca era un po’ come l’America degli anni Settanta (quella di Jobs e Gates…): una terra dalle immense possibilità, aperta alle innovazioni e per sua natura libera e moderna. I

l primo dei sogni era quello di dar vita ad una collana di testi greci (e latini) in grado di rivitalizzare la cultura classica. Il secondo era quello di fornire queste opere di una forma filologicamente corretta, rivista dai migliori studiosi della sua epoca. Il terzo, quello di dare bellezza alla pagina perché la lettura potesse essere lieve e piacevole. Realizzò tutto questo, per la sua genialità e per la capacità che ebbe di attorniarsi di validissimi compagni nell’impresa.

Lotto 54, ALDINA – LEGATURA – ALDINA – OVIDIO NASONE, PUBLIO
Inerrantium stellarum …Fastorum libris excerpta. P. Ouidij Nasonis Fastorum lib. 6. Tristium lib. 5. De Ponto lib. 4. In Ibin. Ad Liuiam, 1516. Stima € 1.500 – 2.500

Prendiamo ad esempio il Teocrito del 1496, in asta il 30 marzo (lotto 49). Aldo lo dedica a Battista Guarino, suo maestro a Verona di greco e latino, e glielo dedica segnalando come molte delle opere contenute – alcune inedite – gli serviranno per le sue lezioni pubbliche. E anche se alcune di esse potranno risultare “corrotte”, ovvero con testi non così affidabili e corretti, il suo impegno è per portare alla luce più opere possibili, “reputando sia meglio avere qualcosa piuttosto che non avere nulla. Un testo corrotto, se resta celato, raramente viene emendato – forse mai, per meglio dire; se invece viene pubblicato, saranno in molti a correggerlo, almeno con il passare del tempo.”

Lotto 56, ALDINA – HUARTE, GIOVANNI
Essame de gl’ingegni de gl’huomini, per apprender le scienze …Tradotto Dalla Lingua…, 1586. Stima € 300 – 400

Aldo aveva un’idea aristocratica della Cultura ma anche profondamente democratica: il progetto di recuperare la letteratura greca facendola diventare l’asse portante nella formazione delle nuove classi dirigenti doveva coinvolgere tutti, aristocratici e non; ed era bilanciato dalla riscoperta del valore della letteratura in volgare, dei grandi autori da Dante a Petrarca ma anche dei suoi contemporanei, come Sannazzaro, Bembo e altri, che rispecchiavano al meglio la modernità del Rinascimento.

Aldo fu contenuto e forma, fu la ridefinizione moderna dell’oggetto libro così come lo concepiamo noi oggi: un oggetto che fino ad allora era stato appannaggio di Clerici e pochi intellettuali, ma che da Aldo in poi divenne la forma più rivoluzionaria di pensiero in movimento, quella appunto di un tascabile da portare sempre e ovunque.

Una selezione di Aldine andrà in asta il 30 marzo in occasione della prima parte dell’asta di Libri, Autografi e Stampe. Un’occasione unica per collezionisti e appassionati di testi antichi, che avranno la possibilità di fare offerte su questi lotti rappresentativi di un grande personaggio della storia dell’editoria (e non solo!).

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Filippo La Mantia “completa” la ricca asta di Vini e Distillati

La già ricca asta 25 e 26 marzo aggiunge una sezione dedicata alla Sicilia, in collaborazione con lo chef Filippo La Mantia

Donnafugata Ben Ryè

Derby delle eccellenze tra Italia e Francia in occasione della prossima asta di Vini e Distillati, che si terrà nella sede di Milano il 25 e il 26 marzo prossimi.

Un pareggio 3-3 sui top lot: per la Francia troviamo una straordinaria Jeroboam 5 Litri 1999, proprietario unico certificato e sempre conservata in cantina a temperatura controllata; un La Tache 2001 di Romanée Conti conservato con l’attenzione che merita; la Salon Le Mesnil Collection con i millesimi 2004, 2006, 2007 e il 2008 Magnum;

Lotto 1169, CHÂTEAU LAFITE ROTHSCHILD 5 LITRI, 1999 1 Jéroboam (5 litri) / OWC. Base d’asta € 6.500

l’Italia risponde con una 3 Litri di Giacomo Conterno Monfortino 2010, una straordinaria verticale di 16 annate di Sassicaia 2002-2017, e pareggia con la rara Collezione Ornellaia 2012-2015 nella sontuosa confezione originale.

 

Lotto 2028, GIACOMO CONTERNO MONFORTINO RISERVA 3 LITRI
2010 1 DMg / OWC. Base d’asta € 6.000

Cosa si può aggiungere a una proposta che presenta i più grandi vini del mondo da Francia, Italia, USA e Nuovo Mondo?

Grazie alla collaborazione con Filippo La Mantia, Finarte presenta una sezione dell’asta dedicata alla Sicilia, un territorio di tradizione antichissima che da alcuni anni vive un momento di grande splendore. In un numero limitato di lotti esclusivi verrà presentata una significativa antologia della produzione dell’isola: i grandi Marsala di Marco de Bartoli, gli straordinari vini dell’Etna, con gli interpreti più prestigiosi come Tenuta delle Terre Nere e Franchetti, il Donnafugata Ben Ryé, probabilmente il più grande passito d’Italia, che porta il nome di Pantelleria in tutto il mondo, i grandi Nero d’Avola di Gulfi e Duca di Montalbo e gli straordinari rossi di Palari, Messina.

I lotti della sezione La Mantia verranno battuti giovedì 25 marzo, al termine della sezione dell’asta dedicata ai lotti da collezioni private, come ideale ponte verso il 26 marzo, dove invece saranno protagonisti preziosi vini da grandi mercanti internazionali.

 

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Alla scoperta delle “Vues d’optique”, antenate del cinema moderno

Le prime vennero pubblicate a Londra all'inizio del XVIII secolo, per poi diffondersi in tutta Europa. Le vedute ottiche sono stampe prospettiche che, viste attraverso uno zograscopio, creavano l'illusione prospettica: in pratica, gli antenati del cinema moderno! L'asta del prossimo 30 marzo offre un lotto di 27 meravigliose "vues d'optique" assolutamente imperdibili.

Una superba testimonianza dell’Illuminismo e della fiducia assoluta nella scienza e nella tecnologia

Le vues d’optique o vedute ottiche sono stampe prospettiche ritoccate all’acquerello che venivano viste attraverso uno zograscopio, o una scatola ottica, per creare l’illusione del rilievo e della prospettiva accentuata. Sono perlopiù scene di vita cittadina, scorci d’ambiente, tavole a soggetto biblico, molto apprezzate nel XVIII secolo: una superba testimonianza dell’Illuminismo e della fiducia assoluta nella scienza e nella tecnologia. Chiamate inizialmente “prospettive” (data convenzionale di nascita il 1730 circa), presero il nome di “vedute ottiche” intorno al 1740. Le prime furono pubblicate a Londra all’inizio del XVIII secolo, la moda si diffuse poi in tutta Europa tra il 1740 e il 1790 e si continuarono a produrre per gran parte dell’Ottocento.

Lotto 212, Vues d’optique [vedute ottiche], 1760, stima € 20.000 – 22.000

I principali centri di produzione furono 4: Londra, Parigi (rue Saint Jacques), Bassano e Augusta, mentre centri secondari furono Berlino, Vienna e l’Olanda. La moda per le vues fu anche esportata in Cina e Giappone nel XVIII secolo attraverso gli olandesi.

Vennero particolarmente apprezzate dalle classi agiate appassionate di scienza, che possedevano un armadietto delle curiosità dove proiettarle al buio. Si trattava infatti di oggetti costosi: a Londra, intorno al 1760, costavano tra i 18 scellini e le 2 sterline, considerando che 1 scellino era il prezzo di una giornata di lavoro per un operaio londinese!

Lotto 212, Vues d’optique [vedute ottiche], 1760, stima € 20.000 – 22.000

Erano anche un modo per familiarizzare con le leggi dell’ottica e per introdurre i più giovani alla geografia. L’immagine poteva essere visualizzata con diversi strumenti. Il più diffuso è lo zograscopio, costituito da un piede in legno che sostiene una lente biconvessa e uno specchio inclinato a 45 °. Posizionata appena sotto, la stampa si riflette nello specchio e lo spettatore la osserva attraverso l’obiettivo.

Lotto 212, Vues d’optique [vedute ottiche], 1760, stima € 20.000 – 22.000

Lo specchio crea una distanza – da qui l’effetto della profondità di campo – e l’obiettivo una distorsione, che enfatizza la prospettiva. Le illustrazioni potevano essere visualizzate anche in apposite scatole ottiche, dotate di uno specchio inclinato, ma l’immagine veniva celata all’interno del dispositivo, rendendo l’esperienza più “magica”. Di qui l’epiteto di “antenati” del cinema moderno.

Lotto 212, Vues d’optique [vedute ottiche], 1760, stima € 20.000 – 22.000

“Les vues d’optique s’inscrivent dans la tradition des fameuses vedute ou vues d’Italie que les amateurs, souvent anglais, se procuraient lors du Grand Tour ; portraits fidèles de sites naturels, de villes et de monuments, réalisations d’artistes de renom ou images à bon marché, les vedute fixaient le souvenir de lieux enchanteurs et pouvaient éveiller la nostalgie du visiteur rentré chez lui, ou bien faire rêver ceux qui n’avaient pas eu la chance d’entreprendre l’aventure”, così le descrive lo storico Françoise Pellicer.

Lotto 212, Vues d’optique [vedute ottiche], 1760, stima € 20.000 – 22.000

Il lotto 212, che verrà offerto nella prima tornata dell’asta dedicata a Libri, Autografi e Stampe del prossimo 30 marzo, è composto da una splendida serie di 27 vues d’optique e una tavola di apertura raffigurante una quinta teatrale, realizzate all’acquaforte e acquerellate, traforate da punzoni e ritagliate con la tecnica del découpage, lavorazione al retro con trattamento a tempera nera e inserti di carte e stoffe colorate, misurano ciascuna 290 x 435 mm. circa, lievi difetti, realizzate in parte ad Augusta [Augsburg], “au Negoce commun de l’Academie Imperiale d’Empire des Arts libéraux”.

Lotto 212, Vues d’optique [vedute ottiche], 1760, stima € 20.000 – 22.000

Si individuano varie serie: 11 scene bibliche con soggetto le Piaghe d’Egitto (da 1 a 10) e una vue raffigurante il Profeta Daniele col Drago babilonese Bel; 3 vedute spagnole del Palais Royal e dei Jardins de Buen Retiro en Espagne, del Prospectus Domus Regiae…Hispaniae e una veduta della flotta spagnola a largo di Gibilterra; 6 vedute di città italiane, di cui 2 di Firenze, una di Venezia, una di Roma un interno di cattedrale probabilmente del Nord Italia e una grande piazza con Fontana; 2 vedute di città svedesi; 3 vedute rispettivamente di Vienna, di New York (lo scorcio di una via con al centro l’erezione di una statua su un piedistallo), e di ampi giardini (probabilmente di città austriaca) di un non meglio identificato Schloss; due vues notturne raffiguranti un accampamento di tende con bandiere variopinte e un Palazzo illuminato.

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Storico dell’arte, Collezionista, Uomo: Bruno Mantura

Bruno Mantura è tra le personalità più rappresentative della cultura italiana del Novecento. 144 opere provenienti dalla sua abitazione romana andranno in asta il prossimo 23 marzo: dipinti, grafiche e sculture che raccontano la sua vita e le sue grandi passioni.

Raccontare la storia di vita di qualcuno è sempre affascinante ma può risultare piuttosto complicato, se non si ha avuto la possibilità di conoscerlo. A volte, sono gli oggetti che quella persona ha posseduto, collezionato, amato, a raccontare qualcosa del suo percorso, mentre altre sono gli affetti con cui ha condiviso una parte di vita o la vita intera, quelle persone con cui ha percorso un pezzettino di strada a livello personale e professionale. 

Nel caso di Bruno Mantura, studioso d’arte, critico e funzionario della Galleria d’arte Moderna di Roma (dal 1970 al 1997), abbiamo avuto la fortuna di poter conoscere, grazie a coloro che ci hanno raccontato la sua storia, sia il lato umano che quello di critico e collezionista: una parte della sua raccolta di pitture, sculture e opere grafiche, sarà infatti protagonista di un’asta che si terrà il 23 marzo a Roma. 

 

 

Roma è stata la sua città: vi arrivò da Gerusalemme, dov’era nato nel 1936, e poco dopo la laurea approdò alla Galleria Nazionale. A quel tempo aveva iniziato a interessarsi ai grandi maestri del Novecento con particolare attenzione al dopoguerra, promuovendo una serie di rassegne monografiche dedicate a Giuseppe Capogrossi, Alberto Burri, Fausto Pirandello, Afro, Leoncillo e Fausto Melotti. 

 

Bruno Mantura e Giulio Paolini

 

All’attività di funzionario aveva, nel contempo, affiancato la promozione del lavoro degli artisti italiani sia nel nostro territorio, attraverso esposizioni presso spazi pubblici e privati (Carlo Lorenzetti, Luca Patella, Giulio Paolini, Sandro Chia, per fare alcuni esempi), sia all’estero, ricoprendo il prestigioso ruolo di commissario per la partecipazione degli artisti italiani alla Biennale di San Paolo (del 1975 al 1983), alla Triennale d’arte di Delhi (1978), alla Biennale di Alessandria d’Egitto (1978, 1982, 1984) e alla Biennale di Parigi (1980).  

 

Lotto 8, Enrico Fanfani, Guido Reni ritrae Beatrice Cenci in carcere, 1855-60 circa. Stima € 2.500 – 3.500

 

Negli anni Ottanta, esplorando i depositi della Galleria Nazionale, Bruno Mantura iniziò ad interessarsi all’arte italiana di fine Ottocento e inizio Novecento, sulla quale in quel periodo pesavano ancora forti pregiudizi. Invece, proprio da quelle opere, prese forma la sua collezione: i prezzi erano buoni, era un gusto nuovo e non c’era ancora un vero e proprio mercato che quegli artisti che secondo lui erano stati troppo a lungo dimenticati, offuscati dai grandi movimenti innovatori dell’inizio del secolo.

 

Lotto 93, Frederick Goodall, Misery and mercy, 1887 circa. Stima € 1.500 – 2.500

 

Allo stesso tempo, Mantura non smise mai di appassionarsi all’arte contemporanea: tra il 1984 e il 1996 dedicò, nelle vesti di curatore, alcune fondamentali rassegne nell’ambito del Festival dei Due Mondi di Spoleto.

“Quello che lo portava a collezionare non erano né i valori assoluti della storia dell’arte, né gli interessi di mercato, ma dei veri e propri colpi di fulmine. Era il piacere per la bellezza in sé per sé” – Sabrina Spinazzè, storica dell’arte

 

Lotto 104, Giulio Aristide Sartorio, Sirene – tavola per il volume “Sibilla”, 1912-1920 circa. Stima € 700 – 1.000

 

Negli anni, Mantura raccolse anche moltissime opere di grafica, per la quale provava un trasporto irresistibile. Affascinato dalla raffinatezza dell’esecuzione o il carattere inconsueto di alcuni soggetti, quei “colpi di fulmine” scattavano indipendentemente dalla conoscenza del nome dell’autore o dalle logiche della storia dell’arte. Collezionava opere di artisti anonimi, per poi riuscire, con studio e arguzia, a ricondurli a un ambito o a un’attribuzione convincente.

 

Lotto 57, Umberto Prencipe, Lotto di tre incisioni, 1912. Stima € 500 – 800

 

Anche la scultura, passione nata fin dagli anni dell’università, ebbe un ruolo chiave nella sua raccolta: nomi della metà del ‘900 (Aurelio Mistruzzi, Publio Morbiducci) convivevano con i maestri dell’Ottocento e del primo Novecento (Filippo ed Ettore Ferrari, Francesco Jerace, Ercole Rosa, Enrico Quattrini, Emilio Musso, Leonardo Bistolfi). 

 

Lotto 66, Rinaldo Rinaldi, Giovanna d’Arco. Stima
€ 2.000 – 3.000

 

Seguivano poi l’immaginario romantico con preziose illustrazioni da Dante e Petrarca, i temi letterari in bilico tra pittura di storia, i ritratti di uomini illustri e affascinanti sconosciuti; la pittura religiosa, documentata da un notevole nucleo di studi e bozzetti, che coprono un periodo piuttosto lungo, compreso tra purismo (Francesco Coghetti, Nicola Consoni, Domenico Tojetti), tendenze realistiche (Cesare Fracassini, Giuseppe Sciuti) e simbolismo (Frederick Goodall, Mario Barberis); gli studi e modelli per monumenti e decorazioni di edifici pubblici e ancora il paesaggio in tutte le sue declinazioni, dagli schizzi di viaggio, esempio tra tutti Palme di Johann Jakob Frey, realizzato durante un  viaggio in Egitto nel 1842 e fortunosamente scampato a un attacco di predoni, al realismo napoletano di Michele Cammarano fino alle visioni simboliste di Umberto Prencipe.

 

Lotto 38, Johann Jakob Frey, Veduta di Roma dal Tevere. Stima € 300 – 400

 

Le opere in asta da Finarte il prossimo 23 marzo provengono dall’abitazione romana di Bruno Mantura a Campo de’ Fiori: per anni invasa da tutte le sue opere d’arte, dipinti, grafiche, sculture ma anche libri, tanti libri, così tanti che occupavano, in realtà, ogni spazio della sua vita.

Una casa che porta in sé la memoria dell’arte, del bello e dell’insaziabile curiosità di una delle personalità più rappresentative del mondo della cultura italiana del Novecento.

 

Bruno Mantura

 

Bruno Mantura è scomparso nel 2019.
Ringraziamo Jean-Louis Provoyeur, Teresa Sacchi Lodispoto e Sabrina Spinazzé per le loro preziose informazioni.

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Cognac and Armagnac, two nectars of France loved by connoisseurs (and not only)

We could ironically call them "the cousins of France": both are brandies and owe their name to the regions of origin of the grapes used for their production, Northern France for Cognac and Gascony for Armagnac. Let's discover their characteristics with some lots from the upcoming Wines and Spirits auction – 25th and 26th of March.

If cognac is defined by connoisseurs as the distillate of silk, armagnac is the velvet one.

Alcoholic distillates can be considered as members of a big family. Among them, closer relatives can be found: such is the case with cognac and armagnac, which could be ironically called “the cousins of France”.
Both are brandies and they are named after the regions of origin of the grapes used for their production, respectively Northern France for cognac and Gascony, in the south-west of France, for armagnac.

Besides the country of origin, another common point is the grape used, mainly Ugni Blanc, very similar to the Italian Trebbiano, sometimes blended with Colombard or Folle Blanche grapes. They are all white grapes harvested before the complete maturation and used to make light and scarcely aromatic wines, with low alcohol by volume (ABV) and strong acidity; characteristics which contribute to the production of excellent cognacs and armagnacs.

Lot 2338, Jean Grosperrin Cognac Collection: Bons Bois 1944, Bons Bois 50 ans, Des Borderies 1961, Fins Bois 1968, Fins Bois 1972, Fins Bois Origine Rateau, Grande Champagne 1971, Petite Champagne 1962, Petite Champagne 1958. Starting bid € 2.400

Cognac is a wine brandy having a delicate and refined taste with definite floral aromas and an alcohol by volume of about 40°. Its production was regulated by a treaty dated back to 1909, the same treaty by which it was decided that only brandies coming from the Cognac region could have this name. All the other similar products have the more general denomination of brandy.

There are six recognized production/crus zones in the region:

Grand Champagne, which gives life to the finest cognacs

Petite Champagne AND La Borderies, with distillates having a more floral aroma

Fin Bois, area gives the most fruity aromas cognacs

Bon Bois and Bois Ordinaries, that we could call the “basics”

The grapes are harvested within September 29, coinciding with the feast of St. Michael, while the “discontinuous” distillation uses alembics called “marentais” and is necessarily performed within March 31 of the year following the harvest.

Lot 2342, Selection of Jean Grosperrin Cognac: Des Borderies 1961, Petite Champagne 1962, Grande Champagne 1971, Fins Bois 1972. Starting bid € 750

The must obtained from grapes undergoes a first boiling of about eight hours, followed by a cooling phase and a second boiling of about twelve hours, during which both the head and the tail are dropped in order to keep the heart of the product. The obtained distillate will then age for a minimum of 30 months to a maximum of 30 years in large oak casks.

The cognac that reaches our palates is not directly drawn from the casks. The most important phase is, in fact, the one in which the maitre de chai blends and dilutes different vintages in order to obtain a harmonic bouquet as well as to lower the ABV which, out of the alembics, ranges between 63° and 72°, much more than the 40° of commercialization.

Lot 2346, Jean Grosperrin Cognac Bons Bois, 1944. Stima € 450

The fact of being a blend of grapes harvested and distilled in different years is the reason behind the absence of vintage indication on cognac’s labels (with the exception of vintage cognac, for which the year of production and/or bottling is declared). Broadly speaking, in order to identify the quality of the bottle, abbreviations are used:

VS (very special) or *** (trois etoiles): the youngest brandy used for blending is aged for at least two years

VSOP (very old pale); VO (very old); Réserve: the youngest spirit used for blending has at least four years of ageing

Vielle Reserve; Grande Réserve; Vieux; XO (extra old); Napoleon: the youngest spirit used for blending has at least six years of ageing

Lot 1208, Hennessy Fine Champagne Cognac,  year 70/80. Starting bid € 100

Cognac has great ageing potential. Hence, it is possible to find and appreciate centenarian cognacs such as the rare Rouyer Guillet Reserve de l’Ange 1865 Vintage (Lot 1207). Secrets for making the perfect cognac are jealously kept by some families which hand down knowledge from generation to generation. Producers as Jean Grosperrin and Hennessy – created in 1745 by the Irish Jean Hennessy – represent two of the most iconic and distributed brands in the world.

 

Lot 2327, Delord Bas Armagnac Reserve, 1893. Starting bid € 1.800

If cognac is defined by connoisseurs as the distillate of silk, armagnac is the velvet one. Recognized as the most ancient distillate of France, armagnac therapeutic properties are cited for the first time in a document dating back to 1310, wrote by an abbot of the Eauze monastery, in the heart of its production area.

The official production area of armagnac is tiny, being exactly half of its northern cousin:

Bas Armagnac, a territory characterized by siliceous and sandy soils, the armagnac of the area has a higher finesse and floral tones and it is the most valued one;

Tenareze, where distillates have a vague scent of violet and for some organoleptic characteristics are destined to long periods of ageing;

Haut- Armagnac, from which come the less valuable distillates.

The real difference with cognac is the type of distillation used for its production. Unlike cognac, armagnac is a single-distilled in continuous copper column stills. Therefore, the must goes through a single process of heating and “purification” before going to rest for at least three years in large casks of oak.

Lot 2326, Darroze La Bataille Bas Armagnac, 1945. Base d’asta € 250

At the end of the distillation process, the ABV of the armagnac is between 52° and 60°, much lower than the 63°-72° of cognac. This allows armagnac to retain in a more defined way its aromatic substances.

Furthermore, this characteristic allows the commercialization of a type of Armagnac that could be defined as pure, with a bottling ABV close to the one of the liquid poured out of the cask after ageing: between 45° and 49°, called Brut de Fût, one of the most valued and sought-after by connoisseurs.

As opposed to cognac, armagnac is less frequently made up of a blend of different vintages. For this reason, it is less rare to find bottles that show the year of production. Otherwise, as happens for cognac, designations on the label indicate the minimum ageing of the nectar:

  • Trois Etoiles, VS, with bottle aging of at least one year;
  • VO, VSOP, Réserve, with ageing of at least four years;
  • Extra, Hors d’age, Napoleon, XO, Vieille Reserve, aged at least five years.

During the centuries, armagnac has continued to remain a craftsmanship-oriented production which did not allow industrialized commercialization. Some local producers perfectly exemplify this tendency: Delord, a distillery founded in 1893 by Prosper and whose techniques used for the creation of armagnac have remained the same from generation to generation, or Darroze branded products.

Lot 2337, Delord Bas Armagnac Reserve Magnum, 1962. Starting bid € 400

As for every liquid work of art, learning the origins and the characteristics of the spirits is just the beginning. To deeply grasp the history, tradition and essence of cognac and armagnac, tasting is the way: bottle at room temperature, a tulip-shaped glass to be filled up for one-third… now gently sniff, lose yourself in the nectar’s aromas, let them invade your mind. Sip and allow all the fragrances to explode in our mouth.

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Le 13 opere di Palazzo Torlonia in un’asta a tempo

Un unico lotto per i dodici affreschi e le due formelle in gesso riconosciuti di eccezionale interesse storico-artistico e che, proprio per la loro importanza, verranno offerti in asta senza alcuna commissione d'acquisto.

SCUOLA ITALIANA SECOLO XIX (tradizionalmente attribuito ad Alessandro Bombelli) - La Geografia (dettaglio)

I dodici affreschi e le due formelle in gesso, provenienti dal demolito palazzo Torlonia in piazza Venezia a Roma, sono stati riconosciuti di eccezionale interesse ai sensi dell’art. 10, comma 3, lettere d) ed e) D.Lgs. n. 42/2004 e pertanto soggetti ad avvio di procedimento di notifica in blocco da parte della Soprintendenza Speciale Archeologia, Belle Arti e Paesaggio di Roma in una comunicazione alla casa d’aste, datata 22 febbraio 2021.

Le opere, offerte nell’asta Incanti d’arte dello scorso 23 febbraio, sono state ritirate dalla vendita a seguito della notifica ministeriale e vengono ora riofferte in un’asta a tempo, esclusivamente online. Data la straordinaria rilevanza storico-artistica della serie dei beni, non verrà applicata alcuna commissione d’asta all’acquirente. La stima è di 60.000 – 100.000 € e sarà possibile fare offerte online per una settimana, fino a giovedì 11 marzo alle ore 14.

La storia degli affreschi di Palazzo Bolognetti-Torlonia

Facciata di Palazzo Torlonia

Facciata di Palazzo Torlonia

Nel XIX secolo, Palazzo Bolognetti-Torlonia in Piazza Venezia dove oggi sorge il Vittoriano, era considerato uno dei luoghi più vivaci di Roma: acquistato nel 1807 da Giovanni Raimondo Torlonia, nobile e banchiere italiano, divenne in breve uno dei palazzi più amati dal bel mondo romano, nonché scrigno di opere d’arte e decorazioni eseguite dai migliori nomi dell’epoca. Gioiello della corona nella collezione dei principi di origine francese era l’Ercole e Lica di Canova, capolavoro dello scultore oggi custodito presso la Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma.

Nel 1829, Alessandro Torlonia, il terzogenito di Giovanni, ereditò il palazzo e ordinò agli artisti più rinomati dell’epoca di cimentarsi in una tecnica in disuso da tempo, il buon fresco, per la decorazione di tutte le sale e gli ambienti dell’edificio, sotto la guida dell’architetto Giovanni Battista Caretti.

Stendhal, in visita a Roma, celebrò le decorazioni e le feste di Palazzo Torlonia nel suo Promenades dans Rome del 1829: “I balli del Principe Torlonia in Roma sono superiori a quelli che dava Napoleone I. […] I quattro lati del cortile del suo palazzo sono occupati da magnifiche gallerie che comunicano con più saloni vastissimi nei quali si balla. I migliori pittori viventi, come Palagi, Camuccini, Landi, li hanno dipinti. […] Le feste dei Torlonia sono più belle di tutte quelle dei sovrani d’Europa.” 

Agli artisti citati da Stendhal ne vanno aggiunti tanti altri, tra cui Bartolomeo Pinelli, Bertel Thorvaldsen, Francesco Coghetti, Filippo Bigioli… Le decorazioni da loro realizzate per la prestigiosa committenza finirono purtroppo in parte con l’essere distrutte assieme al Palazzo nel 1903 ma alcune di queste vennero invece salvate, come nel caso degli affreschi, che furono acquistati dall’antiquario napoletano Francesco Tancredi ed entrarono poi a far parte della collezione della contessa Amalia Canonica, amica e fidata collaboratrice di Laetitia di Savoia Bonaparte duchessa di Aosta.

Asta a tempo, fino all’11 marzo – ore 14

La rarità dell’insieme delle opere Torlonia ed il suo valore di testimonianza di un’epoca hanno contribuito ad animare l’opinione pubblica e a destare molto interesse per la vendita di Finarte.

Il Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo ha giudicato di eccezionale interesse il gruppo, come riportato nella motivazione del provvedimento di vincolo del 22 febbraio 2021: “L’asta in oggetto […] riporta in luce alcuni esempi significativi [degli affreschi e dei rilievi Torlonia] che, pure nella loro frammentarietà, documentano una fase particolarmente importante della storia delle arti figurative romane del XIX secolo.”  

Nel rispetto delle scelte della Soprintendenza Speciale Archeologia Belle Arti e Paesaggio di Roma, gli attuali proprietari, a cui sono giunte per successione ereditaria le opere della contessa Canonica, hanno deciso, concordemente con la casa d’aste, di offrirle il lotto unico al pubblico incanto.

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Quali sono le auto più desiderate dai collezionisti?

Alfa Romeo, Ferrari, Porsche e ancora BMW, Ford e Honda: ecco le auto più desiderate dai collezionisti secondo Edoardo Baj Macario, Specialist del nostro dipartimento Automotive.

È molto difficile capire quale sono o saranno le auto su cui puntare e investire le proprie finanzeMa è possibile, tramite degli strumenti che raccolgono i dati delle aste, capire quali sono le vetture più desiderate. 

Abbiamo pensato per voi a una lista delle auto più desiderate in assoluto (escludendo automobili con valori milionari!) e di riproporvi alcuni dei lotti più interessanti delle nostre ultime aste.

1962 Alfa Romeo Alfa Romeo Giulietta Sprint Speciale (Bertone), telaio no. AR 101.20*00687*- motore no. AR101.20*01280*
Padova Finarte – Automobili da Collezione, 25 ottobre 2019

Iniziamo con la lettera A di Alfa Romeo, la casa milanese gode di molti appassionati in tutto il mondo, e oggi uno dei modelli più desiderati è l’Alfa Romeo GTA, famosa soprattutto sui campi di gara; seguita dalla Giulietta SS disegnata da Scaglione e per finire la SZ, versione speciale con carrozzeria di Zagato, la SZ nata nel 1989, ha visto il proprio valore triplicare nel corso degli anni, a detta di molti è l’Alfa Romeo su cui puntare.

Il nostro consiglio: Alfetta GTV 2.5 con lo splendido 6 cilindri Busso.

1960 BMW BMW 250 (BMW), conosciuta come “Isetta”, telaio no. 463235
Padova Finarte – Automobili da Collezione, 25 ottobre 2019

B come BMW, la casa bavarese si sta affermando molto con i modelli anni ‘80 e’90, ma tra le più desiderate non possiamo non citare la Z8, interprete nel film di 007 “Il mondo non basta”. Ma non aspettatevi sempre supercar e sportive di grido, una delle BMW più desiderate oggi è l’Isetta, una microcar degli anni ‘50 con porta d’accesso frontale e motore  monocilindro derivato da una moto; segue un grande classico della casa tedesca: la M3, apprezzata soprattutto nella prima serie e nelle rare versioni speciali. E per finire la M3 CSL (E46) versione ancora più sportiva della M3 che sta avendo molto interesse.

Il nostro consiglio: BMW M3 CSL, al fascino del tetto in fibra di carbonio resistono in pochi.

1993 Ferrari Ferrari 512 TR (Pininfarina), telaio no. ZFFLA40B000096465 – motore no. F113D040*33745*
Padova Finarte – Automobili da Collezione, 25 ottobre 2019

F come Ferrari, se trascuriamo il valore e successo (enorme) con i modelli degli anni ‘50 e ‘60. Oggi le Ferrari più richieste sono una immersione negli anni ‘80 a iniziare dalla Testarossa, il cui mercato, “impazzì” tra il 2013-’17 con tantissimi modelli aggiudicati, tra cui l’unico esemplare spider appartenuto (e voluto) da Gianni Agnelli. Grazie anche al successo con Tom Selleck nel telefilm Magnum P.I., la Ferrari usata nella seria, la 308 GTS, oggi è il desiderio di molti collezionisti. Un altro modello degli anni ‘80 che ha avuto un’impennata d’interessi negli ultimi anni è la 328 GTS.

Il nostro consiglio: Ferrari F355 serie Fiorano.

F come Ford, le auto del grande ovale blu sono soprattutto legate alle gare: a iniziare dalla Ford Lotus Cortina, la veloce berlina inglese è tra le più desiderate dai collezionisti, che sono disposti a spendere fino a € 200.000 (su € 75.000 di valore medio) per un esemplare del campione Jim Clark. Un’altra auto marchiata Ford che si sta facendo apprezzare è la Escort RS 1.6 riportata in auge di recente in un film della saga di Fast and Furious, la “scuderia” Ford si conclude con la Ford Capri“l’auto che ti sei sempre promesso”, così recitava la campagna pubblicitaria agli inizi degli anni ‘70.

Il nostro consiglio: Ford Lotus Cortina, controllate bene il palmarès potrebbe riservare delle sorprese.   

H come Honda, quando si parla di auto da collezione si sentono pochissimo i marchi giapponesi, Honda si sta ritagliando un mercato grazie alla NSX sviluppata da Ayrton Senna e disegnata dalla Pininfarina nel ‘84. L’automobile venne prodotta per oltre 10 anni con vari aggiornamenti, e delle serie speciali destinate a Giappone e USA tra cui quella dedicata a Alex Zanardi. Per anni ignorata, oggi la veloce supercar giapponese sta raccogliendo molto interesse tra appassionati e collezionisti, tutti alla ricerca di quella di Senna, che ne possedeva una in Brasile di colore nero.

Il nostro consiglio: Honda NSX R

1974 Porsche 911 S 2.7 Targa, telaio no. 9114310381, motore no. 6341074
Automotive: Finarte 2020 Selection + 1000 Finarte, Online, 28 – 30 ottobre 2020

P come Porsche, un altro marchio su cui investire, assieme a Ferrari è la casa automobilistica che ha più interesse. L’interesse delle Porsche in pratica è in parallelo con gli anni di produzione, le prime 911 prodotte, le cosiddette serie 0, sono le più desiderate, possederne una, significa avere la “prima Porsche”, poi l’interesse segue le evoluzioni negli anni della 911. Bisogna ricordarsi delle numerose versioni a serie limitata, in alcuni casi anche meno di 20 esemplari, che dalla fine degli anni ‘70 hanno caratterizzato la produzione Porsche fino alla gamma 991 e sono oggetto di culto tra i collezionisti.  

Il nostro consiglio: Porsche 911 3.2 Jubiläumsmodell, firmata da Ferdinand Porsche sui poggiatesta.  


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Il dipartimento di Automotive seleziona automobili d’interesse collezionistico che spaziano dalle ancêtre alle youngtimer. I nostri esperti sono disponibili per valutazioni gratuite e riservate su appuntamento. Per chi volesse la massima discrezione, Il Dipartimento di Automotive offre inoltre un servizio di Private Sales.

Francesca Woodman: “Io sono una fotografa”

La Woodman si è tolta la vita a soli 22 anni ma i suoi scatti, immagini sincere e a volte e brutali sulla condizione umana, l'hanno iscritta nell’olimpo della fotografia internazionale. Un lotto speciale, una sorta di testamento visivo fatto di autoscatti e realizzato poco prima della sua scomparsa, andrà in asta il prossimo 17 marzo.

“Era la prima volta che vedevo le sue fotografie. Ero disorientato dal cortocircuito tra l’apparenza adolescenziale e la forza di quelle immagini. Non riuscivo a credere che dietro quel suo aspetto di giovinetta si celasse una donna di un’energia tanto forte. È stata una meraviglia e una gioia: davanti a me avevo una grande artista”

Francesca Woodman è stata in grado di iscrivere il proprio nome nell’olimpo della fotografia internazionale nonostante una vita e, conseguentemente, una carriera brevissima concentrata in una decina d’anni. Scoprì infatti la magia della fotografia a tredici anni grazie al regalo di una macchina che le diede la possibilità di condividere con il mondo la propria interiorità, i propri desideri, i propri sogni e i propri malesseri fino ai ventidue anni, quando decise di scomparire privandoci delle sue opere.

Suo soggetto preferito? Se stessa, ritratta in edifici che sembrano abbandonati, non luoghi in cui la Woodman cerca di scomparire mimetizzandosi con l’ambiente coprendosi con un pezzo di carta da parati divelto dal muro, appendendosi allo stipite di una porta, vari tentativi di nascondersi al mondo, mostrandosi in tutta la sua fragilità e nudità. Ad un secondo sguardo, a un terzo sguardo e ai successivi le immagini svelano poi sempre nuovi dettagli, l’ombra nera sul pavimento che non coincide con quella di nessun corpo, l’acqua sputata bloccata a mezz’aria, la fotografia di posate riprodotte a fianco a posate vere, e così via dettagli che rappresentano una complessità di livelli che non può non essere la complessità interiore dell’artista.

Lotto 137, Francesca Woodman, Some disordered interior Geometries, 1981
cm 22,8 x 16,5. Copia anastatica. Ed. 500 copie – 24 pp. + copertina. Stima
€ 8.000 – 10.000

Sicuramente snodo cruciale per la formazione della sua estetica l’anno trascorso a Roma tra il 1977 e il 1978. L’allontanamento dalla famiglia, l’indipendenza e la scoperta di una città in cui poter respirare non solo l’eternità dei secoli ma anche il fermento creativo della contemporaneità grazie a movimenti artistici come la pop art italiana o le sperimentazioni di Mario Schifano permettono alla fotografa di raggiungere il suo apice.
Ma, si sa, la vita non è fatta solo di luoghi ma anche di persone e probabilmente se Francesca non avesse incontrato sul suo cammino Giuseppe Casetti (che in quegli anni si faceva chiamare “Cristiano”), fondatore della libreria Maldoror, oggi non conosceremmo le sue opere.

Lotto 137, Francesca Woodman, Some disordered interior Geometries, 1981
cm 22,8 x 16,5. Copia anastatica. Ed. 500 copie – 24 pp. + copertina. Stima
€ 8.000 – 10.000

Lo stesso Casetti ricorda così il loro primo incontro: “Un giorno mi si è avvicinata, mi ha dato una scatola di tela grigia e ha detto: ‘Io sono una fotografa’. Ho aperto la scatola e sono rimasto sedotto. Era la prima volta che vedevo le sue fotografie. Ero disorientato dal cortocircuito tra l’apparenza adolescenziale e la forza di quelle immagini. Non riuscivo a credere che dietro quel suo aspetto di giovinetta si celasse una donna di un’energia tanto forte. È stata una meraviglia e una gioia: davanti a me avevo una grande artista”. Da lì la decisione di proporle di fare una mostra in libreria deve essere stata immediata.

Lotto 135, Postcard, invito alla mostra “Immagini”, 1978. Stampa vintage a contatto alla gelatina ai sali d’argento montata su cartoncino originale d’invito, cm 5,5 x 5,5 circa (cm 10,5 x 14,9 cartolina). Stima € 8.000 – 10.000

Proprio due degli inviti realizzati per questa sua prima personale del 1978, dal titolo “Immagini” presso gli spazi della libreria, saranno presenti nell’asta del 17 marzo di Fotografia. La bellezza di ciascuno di questi inviti risiede nella scelta di applicare su ciascuno di essi un originale: una stampa a contatto alla gelatina ai sali d’argento, rendendoli quindi delle vere e proprie opere.

Rispetto alle fotografie “ufficiali” questi oggetti però godono di una vita “oltre l’immagine”, fatta di scritte, appunti, francobolli, inviti a cena, progetti di mostra. Si caricano, infatti, della vita reale che le ha toccate e in particolare in questo caso della vita di Salvatore Meo (lotto 135). Anche lui artista, nato a Philadelphia, ma che visitando il paese degli avi, l’Italia, decise di rimanerci, divenendo un emigrante di ritorno.

Lotto 136, Francesca Woodman, Invito-cartolina per la mostra “Immagini”, 1978
Stampa vintage a contatto alla gelatina ai sali d’argento montata su cartoncino originale d’invito, cm 6,3 x 6 circa (cm 10,5 x 14,9 cartolina). Stima € 8.000 – 10.000

Una figura poliedrica e non incasellabile in un movimento artistico, le sue ricerche spaziavano, infatti, dal dadaismo, all’assemblage, dal collage all’object trouvé, amico di Giuseppe/Cristiano Casetti non può non conoscere la Woodman e supportarla nel suo essere un’americana in una terra straniera.

Un legame che lo portò a conservare quel prezioso ricordo di lei. Le foto possono divenire non solo un invito a un’esposizione ma anche un divertente invito a cena come si vede nel lotto 134, della stessa asta, in cui l’artista è andata a disegnare un piatto di riso in bilico sul piede sollevato di una ragazza e uno di ricotta a nascondere le nudità di un uomo, indicando giorno e ora dell’appuntamento: venerdì alle 8.00. Chissà cosa è successo quella sera, se davvero hanno mangiato quei due piatti, di cosa si sono parlati. La bellezza di questa fotografia è che permette di aprire la mente a mille storie diverse.

Lotto 134, Francesca Woodman, Cristiano riso e ricotta, 1977. Stampa vintage alla gelatina ai sali d’argento (composta da due contatti in un unico foglio), cm 17,7 x 23,7.
Note a tempera bianca al recto. Stima € 16.000 – 20.000

Ultimo suo lascito per noi ammiratori della sua opera è il libro d’artista, Some disordered interior Geometries (lotto 137). Pochi giorni dopo la sua pubblicazione, nel 1981, Francesca Woodman, infatti, si tolse la vita.

Realizzato dopo il suo ritorno a New York, è un vero e proprio testamento visivo in cui trovano compimento le ricerche iniziate negli anni romani. Una serie di autoscatti in cui l’artista dialoga con l’ambiente di una stanza e alcuni oggetti. Il volto non compare mai, in un gesto di annullamento dell’identità. Ciò che compaiono di più sono le mani, d’altronde un artista cosa sarebbe senza le sue mani?

Lotto 137, Francesca Woodman, Some disordered interior Geometries, 1981, cm 22,8 x 16,5. Copia anastatica. Ed. 500 copie – 24 pp. + copertina. Stima € 8.000 – 10.000

“La cosa che mi interessava di più era la sensazione che la figura, più che nascondersi da se stessa, fosse assorbita dall’atmosfera, fitta e umida.”

Ma le immagini non sono sole, Francesca Woodman fa la scelta, inusuale, di applicarle su un vecchio volume scolastico di matematica e geometria, creando così dei dialoghi e collegamenti inaspettati, come lei afferma: “Avevo l’idea di illustrare fisicamente metafore letterarie (the white lie) e di fare metafore fisiche per idee morali (la reputazione). E tuttavia, lavorando lentamente ad altri progetti, ho smarrito la particolarità di questa idea e sono venuta fuori con un gruppo di immagini che non illustravano nessun concetto specifico ma sono la storia di qualcuno che esplora un’idea […] seguiamo la figura che cerca di risolvere l’idea come se fosse un problema matematico e di inserirsi dentro l’equazione. La cosa che mi interessava di più era la sensazione che la figura, più che nascondersi da se stessa, fosse assorbita dall’atmosfera, fitta e umida.”

Guardando le sue fotografie non possiamo che ringraziare Francesca Woodman per averci donato alcune delle immagini più vere e reali sulla condizione umana, a volte crude e brutali ma pur sempre sincere e per questo belle. Da guardare e ri-guardarsi.

Catalogo completo

I vetri di Murano, oggetti del desiderio dei collezionisti

Il valore di un vetro di Murano è al pari di quello di un gioiello o di un dipinto e queste opere d'arte decorativa raccontano un pezzo di storia della grande produzione artigianale italiana: ecco perché vale la pena tenere sempre d'occhio le quotazioni di mercato.

“E, contro il cielo, opaco e riflettente: i vetri riflettono il cielo. Incielano l’Architettura” – Gio Ponti, Amate l’architettura

Il 2020 è stato un anno davvero particolare: tutti abbiamo vissuto a stretto contatto con l’ambiente domestico delle nostre case e questo ha certamente contribuito ad accrescere la consapevolezza dell’importanza di ciò che ci circonda. Il Vetro, un materiale così affascinante da risultare quasi magico, abbellisce e arricchisce il nostro arredamento, ci riporta alla bellezza del dettaglio e alla riscoperta del continuo cambiamento. Perché il vetro riflette, si modifica e modifica ciò che ci sta intorno.

Gio Ponti, lampada a sospensione mod. 5523, 1940 ca., H 65 cm x L 38 cm, a 5 luci con struttura in vetro di Murano a più strati, vetro lattimo e metallo. Prod. Venini. Venduta nel luglio 2020 per 2.300 €

I vetri sono ormai diventati un oggetto del desiderio per chi ama decorare la propria casa: particolarmente apprezzati dai collezionisti internazionali amanti dell’alto artigianato italiano, il mercato registra un trend positivo in particolare in Europa (con la Francia e i Paesi Scandinavi in testa) e negli Stati Uniti. Oggi amatissimi da designer, celebrità e collezionisti, gli eleganti e colorati vasi e oggetti in vetro di Murano permettono di giocare con i contrasti di toni e forme in diverse tipologie di ambienti, aggiungendo un tocco di bellezza e stile ad un appartamento moderno, un interno classico o anche a quei contesti più eclettici o ricercati. L’eleganza del vetro di Murano assume una serie di forme diverse: vasi, lampadari, arte della tavola, figure, accessori e molto altro ancora, il tutto ideato dalle menti creative di alcuni dei designer più importanti della storia italiana e sapientemente modellati dagli artigiani dell’isola di Murano. 

Vittorio Zecchin, Vaso, 1925 ca., costolato in vetro ametista. M.V.M Cappellin, 1925, cm h 37. Venduto nel dicembre 2020 per 1.025 €

La maestria di ogni esemplare rende questi oggetti dei veri e propri pezzi d’arte: il valore di un vetro di Murano è al pari di quello di un gioiello o di un dipinto e queste opere artistiche vengono spesso conservate nelle collezioni di famiglia e tramandate attraverso le generazioni. Gli appassionati di arte vetraria conoscono bene il pregio di un singolo esemplare, che è il frutto di un lungo processo artigianale ma soprattutto di un know-how unico e inimitabile della produzione italiana.

Una particolarità dei vetri di Murano, che li differenzia da altri settori del collezionismo, è quella della maggior valorizzazione delle creazioni del Novecento rispetto a quelle più antiche, anche grazie alle preziose collaborazioni di alcuni dei grandi nomi del secolo d’oro del design italiano con le più importanti fornaci muranesi, come Flavio Poli per Seguso, Gio Ponti e Fulvio Bianconi per Venini o Dino Martens per Aureliano Toso.

Flavio Poli, Lampadario a sospensione, 1960 ca.,
H 180 cm x L 130 cm, a sei luci in vetro stampato e colorato. Prod. Seguso. Venduto nel luglio 2020 per 3.330 €

Il concetto di vetro come oggetto da collezione (e da investimento) nasce negli anni Ottanta, grazie anche ad alcune importanti figure dell’arte contemporanea: Bruno Bischofberger, celebre gallerista di Zurigo che portò in Europa Andy Warhol e Jean-Michel Basquiat, nonché grande sostenitore dell’avanguardia italiana, è tutt’oggi un grande appassionato di vetri del Novecento.

Anche il collezionista newyorkese Barry Friedman si è dedicato all’arte vetraria: una parte della sua celebre raccolta è stata battuta in asta nel 2014, raggiungendo un milione di euro per circa un centinaio di esemplari, mentre altre 177 opere tra le quali spiccano i nomi di Bianconi, Poli, Scarpa e Zecchin, realizzate presso le più importanti e storiche fabbriche muranesi – come Seguso, Barovier e Toso, Cenedese, Salviati e Venini – sono state donate nel 2017 a Venetian Heritage e destinate in via permanente al Museo del Vetro di Murano, il luogo perfetto per la loro massima valorizzazione.

Carlo Scarpa, Servizio da tavola, 1930 ca. Prod. MVM Cappellin. Venduto nel dicembre 2020 per 3.840 €

Quali sono i creatori più quotati oggi?

Senza dubbio Carlo Scarpa, che si conferma sempre tra i nomi più cercati sul mercato, poi le creazioni di Ercole Barovier, Paolo Venini e Vittorio Zecchin. Molto ben quotati anche Fulvio Bianconi, Dino Martens e Tomaso Buzzi. Tra i nomi ancora in parte da scoprire ma che ci aspettiamo possano godere di ottimo successo nei prossimi anni, citiamo Toni Zuccheri e Luciano Vistosi.

Ercole Barovier, Statua di giardiniere in vetro soffiato foglia d’oro e forte iridescenza, 1940 ca.Prod. Barovier e Toso, cm h 29. Venduta nel dicembre 2020 per 1.025 €

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Il Dipartimento di Design italiano del XX Secolo ha una forte specializzazione in articoli del design industriale e delle arti decorative prodotti dal 1900 fino ad oggi. Tutti hanno le caratteristiche di essere pezzi particolari, originali, e di avere come comune denominatore il Made in Italy.

Ci rivolgiamo a chi pensa di possedere oggetti di modernariato e design dai primi del Novecento in avanti e ne vuole conoscere il reale valore, l’origine o il designer valorizzandoli così al meglio all’interno delle nostre aste dedicate a questo settore. I nostri esperti si propongono inoltre di essere un fulcro per coloro che cercano di apprendere e condividere conoscenze su arte, design e collezionismo, offrendo valutazioni sia di persona che online.

Asta di Design: 21 aprile 2021
Termine per la consegna delle opere: 15 marzo 2021

L’esperto Roberto Mutti consiglia i fotografi sui quali investire adesso

Storico, critico e docente di fotografia, Roberto Mutti consiglia alcune opere della prossima Asta di Fotografia che i collezionisti non possono assolutamente farsi sfuggire.

Nonostante le gravi restrizioni fisiche che hanno coinvolto il mondo dell’arte, obbligando a dolorosi distanziamenti sociali, quello delle aste ha resistito e ha anzi potuto contare, per noi di Finarte, su un interesse generale codificato, nel caso del dipartimento di Fotografia, di un aumento del 50% rispetto al 2019, traguardo che consideriamo punto di partenza per la stagione che si aprirà il 17 marzo.

Le ragioni di questo successo sono legate a diversi fattori il primo dei quali è l’attendibilità che Finarte si è conquistata presso il pubblico dei collezionisti italiani e internazionali. Ma non possiamo non considerare il contenuto critico che offriamo perché siamo l’unica casa d’aste che nei suoi cataloghi non si limita alle indispensabili indicazioni tecniche, ma si apre a notazioni storico-critiche che aiutano il pubblico a orientarsi e a individuare non solo i grandi autori ma anche altri non altrettanto noti, ma non per questo meno pregevoli.

Lotto 1, Mario Giacomelli, Io non ho mani che mi accarezzino il volto, 1961/1963. Stima € 3.500 – 4.500

Anche se nel nostro Paese l’esterofilia non ha giovato agli autori italiani, alcuni nomi di importanti fotografi si sono affermati a livello internazionale per la qualità delle loro proposte. È il caso di Mario Giacomelli che da tempo occupa un ruolo significativo nel mondo del collezionismo per le sue immagini sempre caratterizzate dai forti contrasti fra i bianchi “bruciati” e i neri catramosi. Difficile da catalogare in un solo genere, è pressoché unico a interpretare la grande poesia come dimostrano le celeberrime immagini dei seminaristi ispirate alla lirica “Io non ho mani che mi accarezzino il volto” di David M. Turoldo.

Lotto 85, Franco Fontana, Paesaggio, Basilicata, 1987. Stima € 1.000 – 1.500

Due modi diversi di rapportarsi con il paesaggio caratterizzano il modenese Franco Fontana e il milanese Gabriele Basilico: il primo affronta quello naturale con riprese audaci che si tramutano in pennellate di colore e in composizioni vicine all’astrazione, il secondo è il cantore di quello urbano che affronta con rigore assoluto guidandoci a osservare le architetture con sguardo nuovo. Il senso dello spazio caratterizza l’intero operato di Luigi Ghirri che sa scavare oltre l’immediatezza per far emergere il senso del mistero e di Maurizio Galimberti che usa la scomposizione e la ricomposizione in collage per dar vita a opere che si richiamano all’estetica delle avanguardie storiche.

Lotto 8, Luigi Ghirri, Modena, dalla serie “Still Life”, 1979. Stima € 4.000 – 6.000

Se qualche anno fa i collezionisti non amavano molto, con le debite eccezioni, le opere dei fotoreporter, oggi le cose sono cambiate e si assiste a un rinnovato interesse non solo per esponenti di assoluto valore della photographie humaniste come Henri Cartier-Bresson, Willy Ronis e Robert Doisneau, ma anche per maestri del bianco e nero, come Gianni Berengo Gardin, Mario De Biasi, Fulvio Roiter, Mario Carbone, protagonisti della grande stagione della storia italiana del dopoguerra.

Lotto 26, Gianni Berengo Gardin, Venezia, 1955-1960. Stima € 1.000 – 1.500

Il fatto di dare spazio agli autori italiani non significa trascurare quelli internazionali, partendo da quelli storicizzati come Weegee, il grande testimone di New York di cui ha colto tutte le sfumature passando dalle immagini notturne di cronaca che ha saputo trasformare in fotografie d’autore a quelle di critica sociale.

Lotto 213, Weegee, The Critic (Mrs Cavanaugh and Friend About to enter the Metropolitan Opera House), 1943. Stima € 3.800 – 4.500

Altri fotografi sono dei veri capostipiti delle ricerche più audaci: Man Ray come esponente di punta del dadaismo, Florance Henri (autrice ancora tutta da scoprire in Italia) di un personalissimo surrealismo poetico.

Un grande interesse riguarda i fotografi a noi più vicini forse anche perché capaci di interpretare con più sensibilità il nostro sentire. Talvolta lo fanno calcando la mano sulla provocazione intellettuale: è il caso di Araki e di Joel-Peter Witkin. Il primo scardina il quieto perbenismo giapponese con immagini che alludono a una sensualità evidente nella descrizione delle pratiche del bondage e sublimata nelle immagini dei fiori, il secondo frantumando il tabù della morte costruendo immagini dove Eros e Thanatos convivono con sfrontata eleganza.

Lotto 112, Joel Peter Witkin, First Casting for Milo, 2003. Stima € 2.800 – 3.400

Ribadendo la crescente importanza del ruolo delle donne nel mondo dell’arte, cinque fotografe si fronteggiano in un ideale confronto a distanza che appassiona i collezionisti. Diane Arbus è la capostipite di una visione al femminile che scopre un’inquietudine che serpeggia sottopelle ed emerge qua e là a fare a pezzi quel che resta del sogno americano.

Lotto 133, Abramovic/Ulay, Relation in space, 1976. Stima € 1.000 – 1.200

Marina Abramovic si apre a orizzonti performativi che recuperano una dimensione personale carica di forti rimandi emozionali, Nan Goldin mescola realtà e rappresentazione, vita vissuta e racconto con immagini di crudo realismo lontanissime da ogni retorica. Anche Cyntia Morris “Cindy” Sherman gioca con la realtà che filtra attraverso gli stereotipi, soprattutto quelli imposti dalla cinematografia e dalla pubblicità, con autoritratti che sembrano frames di pellicole.

Lotto 108, Senza Titolo (Pig Woman), 1986. Stima € 1.800 – 2.500

E, infine, c’è il caso di Francesca Woodman, che tutti considerano per la sua grandezza espressiva e visionaria ancora più apprezzabile perché il suo percorso si è interrotto troppo presto pur avendo lasciato tracce fondamentali alcune delle quali, che presenteremo proprio nella prossima asta, ancora tutte da indagare.

Lotto 134, Francesca Woodman, Cristiano riso e ricotta, 1977. Stima € 16.000 – 20.000

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