Del corpus del cosiddetto Pseudo Pier Francesco Fiorentino fanno parte numerose opere, soprattutto Madonne con Bambino, in cui il soggetto sacro è interpretato, come in questo caso, in modo accostante e grazioso, ben apprezzabile nell'intimità della devozione privata. Fu Bernard Berenson a riunire sotto il nome di Pier Francesco Fiorentino diverse tavole, fino ad allora ricondotte alla bottega di Filippo Lippi e Pesellino. Nel 1928, Frederick Mason Perkins, allievo di Berenson, si rese però conto che la presunta coerenza interna del raggruppamento, arrivato presto a contare quasi duecento pezzi, fosse minata in realtà da sottili ma evidenti differenze formali. Egli propose quindi di allontanare in blocco tutte le Madonne col Bambino lippesche e peselliniane dalle prove propriamente monumentali di Pier Francesco, cui alla fine spettavano non meno di una dozzina di opere tra dipinti su tavola e ad affresco, e di riferirle a una diversa personalità, da designare premettendo al nome di Piero il prefisso col quale è noto il nostro pittore, lo Pseudo Pier Francesco Fiorentino.
Nelle opere dello Pseudo è frequente il ricorso a disegni e cartoni di Pesellino e di Filippo Lippi. Anche la composizione del dipinto qui presentato è in relazione con un disegno di Pesellino, raffigurante il medesimo soggetto, conservato agli Uffizi, Gabinetto dei Disegni.
Numerose sono state le ipotesi per identificare l'anonimo artista; la più accreditata è quella formulata nel 1992 da Annamaria Bernacchioni (A. Bernacchioni, in Maestri e botteghe, 1992, pp. 160-161, catt. 5.3-5.4), che ha proposto il nome di un collaboratore del Pesellino, Piero di Lorenzo del Pratese. Costui è ricordato nel 1457, quando intentò causa a Monna Tarsia, vedova di Pesellino, per reclamare la metà dei pagamenti per la pala che quest’ultimo aveva in parte eseguito per la Compagnia della Trinità di Pistoia. Appoggiata da altri studiosi, l’ipotesi ha il pregio di rendere conto dell’origine dei cartoni peselliniani, del loro riuso esclusivo da parte della bottega dello ‘Pseudo’ e di come, da un certo punto in avanti, essi venissero combinati con quelli provenienti dalla bottega di Filippo Lippi, cui, tra l’altro, venne affidato il completamento della tavola di Pistoia.
Nel dipinto qui presentato i contorni nitidi racchiudono colori stesi con la purezza della porcellana e le figure eleganti si stagliano sulla suggestiva apertura del paesaggio alle loro spalle, secondo gli stilemi tipici dello Pseudo Pier Francesco Fiorentino. I gesti sono dolci e posati, l'atmosfera di intima sacralità perfettamente studiata per il culto familiare.
Le numerose versioni di questa composizione, realizzate sia dallo Pseudo Pier Francesco sia dal Maestro di San Miniato, testimoniano la grande richiesta, da parte del pubblico borghese fiorentino, di piccole tavole per la devozione privata, che ripropongono, su scala domestica, i modelli delle grandi pale d'altare.
La presenza lungo i margini delle "barbe" di gesso rivela che la tavola ha conservato le dimensioni originali.