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Opere dalla Collezione di Bruno Mantura

martedì 23 marzo 2021, ore 15:00 • Roma

8

Enrico Fanfani

(Firenze 1824 - 1897)

Guido Reni ritrae Beatrice Cenci in carcere, 1855-60 circa

Stima

€ 2.500 - 3.500

Lotto venduto

€ 3.200

I prezzi di vendita comprendono i diritti d'asta

Informazioni

olio su tela riportata su legno
cm 56,5 x 71,5
firmato in basso a destra: E. Fanfani Dipinse

Allievo dell’Accademia di belle arti di Firenze, Enrico Fanfani è uno degli esponenti di quella pittura di storia, che maturata nella temperie culturale del romanticismo italiano si era evoluta tra purismo e naturalismo. Spesso presente alle Promotrici fiorentine, trattò temi del repertorio biblico e letterario come Torquato Tasso al convento di Sant’Onofrio e Rebecca al pozzo (entrambe 1856) e Milton cieco che detta alle figlie il Paradiso Perduto (1857, Firenze, Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti). Nell’ambito del Pantheon romantico trovavano posto personaggi illustri delle lettere, delle arti e delle scienze, ma anche eroine dai tragici e oscuri destini. Frutto del felice connubio tra i due temi è il dipinto Guido Reni dipinge il ritratto di Beatrice Cenci nella buia cella dove l’infelice attende il momento di recarsi al patibolo. Ricordata dalle fonti come coraggiosa ribelle contro un padre violento e prevaricatore, la giovane, accusata di parricidio e giustiziata appena ventiduenne l’11 settembre 1599, è assimilata dagli scrittori romantici ai tirannicidi a partire dalla tragedia The Cenci (1819), ispirata a Shelley dal celebre ritratto (Roma, Gallerie Nazionali Barberini Corsini) attribuito a Guido Reni, Questo primo testo letterario aveva generato numerose opere, tra cui nel 1844 l’omonima tragedia di Giovan Battista Niccolini e nel 1854 il romanzo di Francesco Domenico Guerrazzi, che sancirono la definitiva popolarità del soggetto. La tela  in esame è databile intorno alla metà degli anni Cinquanta, periodo in cui l’artista realizza anche L’ultima confessione di Beatrice Cenci, presentata alla Promotrice fiorentina del 1857, e Beatrice Cenci dopo la tortura, esposta a quella del 1861. Sono questi dipinti di successo replicati in diverse versioni, talvolta con varianti, come attestato dall'opera di analogo soggetto conservata presso una collezione privata madrilena [1]. Va, inoltre, sottolineato che proprio il tema di Beatrice Cenci ritratta da Guido Reni aveva particolarmente colpito gli artisti contemporanei al punto da indurre Achille Leonardi, prolifico pittore di temi di genere, a replicare numerose volte questo soggetto e lo stesso ritratto attribuito a Guido Reni [2], nonostante Guerrazzi avesse affermato nel suo romanzo che il ritratto era stato eseguito dal pittore bolognese solo un anno dopo la morte della sventurata fanciulla sulla scorta di un disegno. I dettami dello storicismo romantico impongono a Fanfani una ricerca accurata nella scelta delle vesti e degli arredi al fine di rendere credibile l’ambientazione. In una cella del carcere della Corte Savella Beatrice Cenci posa seduta su un modesto giaciglio con indosso una veste bianca e tra le mani un libro di orazioni e un rosario a indicare il progressivo distacco dalle cose terrene in attesa dell’ora fatale. Guido Reni, in sontuose vesti rinascimentali, dipinge il ritratto con turbante bianco. Un gentiluomo alle sue spalle ammira la grazia della modella riflessa nel celebre dipinto. Le due figure di soldati che entrano nella cella costituiscono un brusco contrappunto alla compostezza dei tre astanti, consci della solennità del momento. La pacata rassegnazione, l’accettazione del proprio destino attraverso la fede, il candore virginale delle vesti conferiscono a Beatrice Cenci il ruolo di perfetta eroina romantica: “Così pensando io mi dava a ricercare pei tempi trascorsi: lèssi le accuse e le difese; confrontai racconti, scritti e memorie; porsi le orecchie alla tradizione lontana. La tradizione, che quando i Potenti scrivono la storia della innocenza tradita col sangue, che le trassero dalle vene, conserva la verità con le lacrime del popolo, e s'insinua nel cuore dei più tardi nepoti a modo di lamento. Scoperchiai le antiche sepolture, e interrogai le ceneri. […] Conobbi la ragione della offesa: e ciò, che persuase il delitto al volgare degli uomini, usi a supporlo colà dove colpisce la scure, me convinse di sacrificio unico al mondo. Allora Beatrice mi apparve bella di sventura”[3].

 

Teresa Sacchi Lodispoto



[1]Romanticismo storico, catalogo della mostra a cura di S. Pinto, Palazzo Pitti, Firenze 1973, p. 93.

[2]Beatrice Cenci. La storia il mito, catalogo della mostra a cura di M. Bevilacqua, E. Mori, Roma, Fondazione Marco Besso 4 novembre - 20 dicembre 1999, p. 155 n. 12.

[3] F. Guerrazzi, Beatrice Cenci, Pisa, Guerrazzi, 1854, p. 6.

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