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Dipinti e Disegni Antichi, Arte del XIX Secolo

lunedì 23 novembre 2020, ore 16:00 • Roma

106

Costantino Barbella

(Chieti 1852 - Roma 1925)

Su Su!..., 1882

Stima

€ 4.000 - 6.000

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Informazioni

scultura in terracotta su base in legno
altezza cm 25,5 (esclusa la base)
intitolata e firmata davanti sulla base: Su Su...C.Barbella, inscritta a destra sulla base: Roma e sul retro sulla base: Proprietà Riservata

Esposizione

Esposizioni principali del soggetto: Roma 1883; Berlino 1886; Palermo 1891.

Bibliografia

Bibliografia essenziale sul soggetto: Duca Minimo [Gabriele D’Annunzio], Arte ed artisti. Costantino Barbella, in “La Tribuna”, 3 giugno 1886; A. Lancellotti, Costantino Barbella (1852-1925), Roma 1934, p. 72, 116, 122, 137; F. Bellonzi, Costantino Barbella: 1852-1925, Chieti 1983, p. 56, 170-171
Ricercata dal collezionismo internazionale e accolta con entusiasmo da alcuni dei più influenti intellettuali del suo tempo (Gabriele D’Annunzio su tutti), la produzione di Costantino Barbella è efficacemente riassunta dalle quattro terrecotte qui presentate. Nelle sculture di dimensioni ridotte l’artista ha espresso appieno la propria creatività [1], segnando un’epoca con il suo universo visivo popolato da pastori e contadini abruzzesi, protagonisti di un’Arcadia ritrovata. Particolare fortuna ebbero le sculture che realizzò nel periodo giovanile, a partire dagli anni della formazione trascorsi tra la natale Chieti e Napoli, dove studiò sotto l’ala di Stanislao Lista (già maestro del coetaneo Vincenzo Gemito). Proprio alle esposizioni napoletane della metà degli anni Settanta dell’Ottocento Barbella registrò i primi successi che lo imposero all’attenzione della critica: si pensi, ad esempio, alla mostra della società promotrice “Salvator Rosa” del 1874, dove presentò il gruppo La gioia dell’innocenza dopo il lavoro, opera che entrò dapprima nelle collezioni personali di Vittorio Emanuele II, poi in quelle pubbliche del Museo di Capodimonte, dove ancora oggi è conservato. 
Delle terrecotte di Barbella la critica apprezzava l’originalità e la valenza narrativa dei soggetti (che in qualche modo riflettevano il gusto delle scene di genere del realismo d’Oltralpe), la capacità d’introspezione psicologica e la finezza dei più minuti dettagli. Vive lodi gli si indirizzavano pure in riconoscimento di una non comune perizia tecnica nel dirigere le fusioni in bronzo, che gli venivano commissionate anche a distanza di molti anni dalla realizzazione dei primi esemplari. Va individuata, alla radice della speciale attenzione rivolta alla patinatura delle superfici [2] e alla resa della cesellatura, una sorta di confronto a distanza con il napoletano Vincenzo Gemito, che in quegli stessi anni condivideva con Barbella il primato della nuova scuola meridionale della scultura. Solo in rari casi, tuttavia, i due artisti affrontarono soggetti analoghi: tra questi va innanzitutto ricordata la terracotta intitolata Su su!... (lotto 106), realizzata nel 1882, a un anno di distanza dal celebre Acquaiolo di Gemito. In entrambi i casi il tema dell’acqua è associato all’immagine di un fanciullo del popolo: classicheggiante quello dello scultore napoletano, vivacemente aneddotico quello dell’abruzzese. Si tratta di un’iconografia ricorrente nell’arte partenopea di fine Ottocento, anche in pittura (si pensi al dipinto di Vincenzo Caprile del 1884 L’acqua zurfegna a Santa Lucia, oggi alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma), talvolta impiegata dagli artisti con l’intento programmatico di citare brani di sculture antiche studiate con attenzione al Museo Archeologico, situato a pochi passi dall’Accademia di Belle Arti. Sebbene in Su su..! il rimando all’antico non sia in apparenza esplicito quanto nell’Acquaiolo gemitiano, la critica del tempo vi scorse comunque una naturalezza affine a quella di certa scultura ellenica. Il poeta Gabriele D’Annunzio, in una recensione dell’esposizione berlinese del 1886 pubblicata su “La Tribuna” con lo pseudonimo “duca Minimo”, scrisse a proposito della versione in bronzo dell’opera: «E chi non conosce il Su su..., quella figura di fanciullo che tenta di bere a un fiasco troppo pesante, elegantissima, piena di vita, perfetta quasi come un piccolo capolavoro del buon tempo greco?» [3]. La fama dell’opera si doveva senza dubbio al successo riscosso all’“Esposizione di Belle Arti in Roma” del 1883, dove Barbella presentava nove sculture, tra bronzi e terrecotte. Tra queste vi era Armonia (lotto 108), lì esposta nella versione in bronzo poi acquistata dall’ex chedivè Isma'il Pascià. L’opera si poneva come ritorno sul tema del gruppo La canzone d’amore, esposto a Napoli nel 1877 all’Esposizione Nazionale di Belle Arti (nella stessa sede l’amico Francesco Paolo Michetti presentava La processione del Corpus Domini a Chieti), opera che gli procurò, come lui stesso ricordò in seguito, «denaro e fama» e «la soddisfazione morale di essere nominato, per meriti speciali, unico fra gli scultori espositori, professore onorario dell’Istituto Reale di belle arti» [4]. Proprio il successo del gruppo spinse Barbella – oltre che a realizzarne più fusioni in bronzo – ad eseguire nuove sculture ispirate alla medesima iconografia, in cui la grazia naturale delle paesane abruzzesi si ammanta di suggestioni musicali. In Armonia lo scultore riprende due delle tre figure de La canzone d’amore intervenendo con leggere modifiche su alcuni particolari della posa e delle vesti, e soffermandosi sul pittoricismo dei dettagli, con un approccio da orefice che fa pensare al preziosismo della pittura del catalano Mariano Fortuny y Marsal.
Nonostante la tendenza all’esaltazione degli aspetti decorativi dell’opera d’arte, tuttavia, la scultura di Barbella al volgere del nuovo secolo non sembrò lasciarsi sedurre dai nuovi linguaggi del liberty internazionale. L’unica opera in cui la letteratura ha individuato un aggiornamento in senso modernista della produzione barbelliana è la terracotta intitolata Ebbrezza (Chieti, Museo d’Arte Costantino Barbella), raffigurante un sensuale nudo muliebre disteso su un giaciglio ornato di rose. Realizzata nel 1912 ed esposta alla promotrice napoletana dell’anno seguente, l’opera si poneva a conclusione di un lungo processo creativo avviato nel 1907, come documenta la terracotta qui presentata (lotto 107). Firmato, datato e ubicato dall’artista stesso sulla base («Roma 1907»), questo bozzetto in terracotta è dunque da intendersi come una prima idea per Ebbrezza, che nella versione definitiva vedrà invariata la posa della donna dalla bocca socchiusa come in rapimento estatico. Prima ancora di tornare sul tema per la scultura finale, Barbella ripresentò il soggetto della donna assopita in Sogni felici, terminato nel 1908, e lo riprese anche in seguito, liberato dai connotati erotizzanti, per una testa di Santa Cecilia, terminata nel 1915.


Manuel Carrera
Novembre 2020

[1] Sull’argomento, si veda: P. Orano, Un grande scultore di statue piccine: Costantino Barbella, in “Il Secolo XX”, settembre 1906, pp. 706-719; A. Amoroso, Il grande scultore del piccolo, in “La patria degli italiani”, 9 dicembre 1925.
[2] Cfr. A. Lancellotti, Costantino Barbella (1852-1925), Roma 1934, p. 73.
[3] Duca Minimo [Gabriele D’Annunzio], Arte ed artisti. Costantino Barbella, in “La Tribuna”, 3 giugno 1886.
[4] Tratto dalle memorie di Barbella pubblicate in O. Roux (a cura di), Illustri italiani contemporanei: memorie giovanili autobiografiche di letterati, artisti, scienziati, uomini politici, patrioti e pubblicisti, Firenze 1908, vol. II, parte seconda, pp. 185-186.

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