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L’arte del selfie: una, nessuna e centomila Cindy Sherman

CINDY SHERMAN, Untitled n.70, 1980 - Venduto € 32.500,00

Se il farsi riconoscere è la caratteristica essenziale di ogni autoscatto, nel mondo della fotografia c’è invece chi ha fatto della chiave del suo successo proprio la non riconoscibilità. Tre delle sue opere, un gioco continuo di finzioni su finzioni, sono state aggiudicate il 17 marzo all’asta di Fotografia.

La nostra epoca è da tanti considerata l’età del “culto del sé” avente la sua massima espressione nel cosiddetto selfie. E lo studio fatto qualche anno fa da un’agenzia di comunicazione americana, che attesta approssimativamente a 93.000.000 il numero di autoritratti scattati giornalmente, difficilmente si può affermare il contrario. Ma l’autoscatto, in realtà, è da sempre presente nel mondo della fotografia.

Il primo esempio di immagine riconducibile a questa categoria viene fatto risalire al 1839 per opera di un fotografo di Philadelphia, tal Robert Cornelius, il quale si ritrae a mezzo busto, le braccia conserte, lo sguardo intenso, quasi magnetico fisso sull’obbiettivo, nella certezza che amici e conoscenti, e quindi i fruitori dell’immagine, lo riconoscano.

Robert Cornelius - Il primo selfie della storia

Robert Cornelius – Il primo selfie della storia

Ecco quale è la caratteristica essenziale di ogni selfie e che pretendiamo nella maggior parte delle immagini che ci ritraggono: la riconoscibilità. Testimoniamo e condividiamo con gli altri la nostra quotidianità, i nostri viaggi, le nostre passioni, in una continua riaffermazione della nostra esistenza, rispondendo all’assioma compaio, vengo riconosciuto, dunque sono.

Nel mondo della fotografia c’è invece chi ha fatto della chiave del suo successo proprio la non riconoscibilità.

“I miei scatti peggiori sono quelli in cui c’è troppo di me”.

Stiamo parlando di Cindy Sherman. La fotografa americana narra di aver cominciato a travestirsi per essere accettata in famiglia e in particolare dai quattro fratelli maggiori: “Mi preferite riccia, bionda o mora?”

Stranamente però con una predilezione per i costumi da vecchia o da strega, niente principesse in casa Sherman, un culto dell’orrido che tornerà in alcune delle sue serie fotografiche successive.

Trucchi e parrucche sono una costante nella vita dell’artista sia ai tempi del college, dove tra l’altro conosce e frequenta Robert Longo, che successivamente. Leggenda vuole che alle varie inaugurazioni della galleria che Longo aprì Buffalo con degli amici, lei si presentasse interpretando una volta la parte dell’infermiera, una della donna incinta, del reporter, di una vecchia e così via… e proprio da questi personaggi nascono le prime fotografie ironiche e quasi caricaturali della Sherman, una carrellata di figure stereotipate tutte interpretate da lei.

CINDY SHERMAN, <em>Madonna</em>, 1975 - Venduto € 4.343,00

Asta 35 | CINDY SHERMAN, Madonna, 1975 – Venduto € 4.343,00

Il compimento delle ricerche dell’artista trova la prima quadratura quando ai travestimenti decide di abbinare la sua seconda grande passione: il cinema. Da qui la serie United Still Films realizzata tra il 1977 e il 1980, sessantanove scatti in bianco e nero in cui Cindy Sherman diventa la protagonista di sessantanove possibili film noir differenti, sessantanove protagoniste, sessantanove narrazioni per l’occhio, sessantanove messe in scena in cui qualsiasi cosa di comune sarebbe potuto accadere:

“Volevo che sembrassero a buon mercato e trasandate, qualcosa che potresti trovare in un negozio di bric e brac e comperare per un quarto di dollaro!!! Non volevo che sembrassero Arte”

Per Cindy Sherman le sue ricostruzioni non sono semplici fotografie, ma performance concettuali comparabili con le opere di artisti come Chris Burden o Bruce Nauman. Performance che da sempre l’artista ricostruisce nel proprio studio dedicandocisi in solitudine, divenendo di volta in volta scenografa, truccatrice, costumista, attrice e solo alla fine fotografa, operazioni che sono andate ripetendosi fino ad oggi fin dal dicembre del 1980, data della sua prima personale in una galleria d’arte: la Metro Pictures di New York.

CINDY SHERMAN, <em>Untitled n.74</em>, 1980 - Venduto € 39.900

CINDY SHERMAN, Untitled n.74, 1980 – Venduto € 39.900

Per l’occasione l’artista ferma la propria immagine truccata su sfondi reali di città riproiettati in studio. Un gioco continuo di finzioni su finzioni, a cui appartengono anche le tre fotografie dell’artista aggiudicate il 17 marzo all’asta di Fotografia di Finarte.

Cindy è contemporaneamente una signora di media età in giacca gialla e borsetta (Untitled n°74, € 39.900), una ragazza dal taglio di capelli mascolino che attraversa una highway spingendo una bicicletta (Untitled n°66, € 30.000) e infine una ragazza in un interno che beve un bicchiere di whisky (Untitled n°70, € 32.500).

CINDY SHERMAN, <em>Untitled n.66</em>, 1980 - Venduto € 30.100

CINDY SHERMAN, Untitled n.66, 1980 – Venduto € 30.100

Come agli albori del cinema muto, in cui le vere star erano i personaggi e non gli attori che li interpretavano, alla Sherman non interessa comparire per protagonismo, ma per rappresentare e rendere il mondo che ci circonda e i suoi personaggi in tutte le sue caratteristiche e finzioni senza giudizio, solo tanta ironia.

In questa serie è racchiusa tutta la produzione successiva dell’artista che interpreta i personaggi di favole e fiabe grottesche (Fairy Tales, 1985), personaggi storici tratti da quadri (History Portraits, 1989), clowns (Clowns, 2004), o personaggi del jet-set (2019). La Sherman, come afferma la curatrice Rosalind Krauss, realizza copie senza originali.

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